sabato 26 luglio 2014
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La crescita reale attorno allo zero anche nel secondo semestre contrariamente alle aspettative, e l’inflazione a sua volta attorno allo zero. Il tutto per una somma ancora vicina allo zero nella crescita reale del Pil, lontanissima da quel 4% necessario per rispettare i vincoli europei sul debito pubblico. Di questo passo, avremo bisogno di moltissima "flessibilità" (nella gestione dei conti) che alla fine ci verrà forse concessa, tenendoci sempre sulla corda. È un fatto che negli ultimi anni le previsioni delle istituzioni internazionali e dei governi hanno peccato sistematicamente di eccesso di ottimismo e sono state sempre riviste al ribasso. In quelle previsioni «l’anno che verrà», quello della famosa canzone di Lucio Dalla, era per definizione l’anno in cui la situazione economica sarebbe migliorata con il Pil tornato all’insù e il rapporto debito/Pil all’ingiù. Il Fondo Monetario, per esempio, prevedeva nel 2011 che il rapporto debito/Pil italiano avrebbe avviato l’anno dopo una parabola discendente dal 121% verso il 116% del 2016. Non è accaduto, e nel 2012 si è previsto che la progressiva riduzione sarebbe ripartita (sempre l’anno dopo) dal 123%. L’anno dopo, nonostante le rosee previsioni nuovamente disattese, con ottimismo il Fondo prevedeva una nuova discesa, a partire stavolta dal 131% (ovvero dal nuovo cresciuto livello di partenza). Come sappiamo oggi siamo attorno 133%, ma l’anno prossimo, «l’anno che verrà», sarà sicuramente quello della ripresa... Pur consolandoci del fatto che non siamo soli (nello stesso periodo i rapporti debito/Pil di Usa, Regno Unito, Giappone e Ue sono cresciuti più del nostro) sarebbe il caso di domandarsi con serietà che cos’è che non va nelle nostre previsioni. Riconoscendo in primo luogo il circolo vizioso in cui ci troviamo, l’iceberg che dobbiamo evitare per riprendere la rotta giusta. Il circolo vizioso si può illustrare come un vero e proprio "teorema dell’impossibilità" che stabilisce come sia quasi impossibile far ripartire (mantenendo e creando lavoro) un Paese che nell’area della moneta unica ha la tassazione sulle imprese tra le più elevate, il secondo rapporto debito/Pil e fa parte di un’area economica, quella dell’eurozona che, al contrario di Stati Uniti e Giappone, non ha sfruttato appieno la possibilità di un’espansione monetaria per rilanciare la domanda. Uno dei motivi delle continue sorprese negative sulla crescita (le ultime arrivate con la revisione al ribasso di Banca d’Italia e ieri del Fondo monetario) è che in un contesto di grande facilità di spostamenti reali e finanziari le imprese medio-grandi ottimizzano le loro politiche fiscali cercando di spostare sostanzialmente o contabilmente la produzione in quei Paesi dove il prelievo è più leggero o addirittura nei paradisi fiscali interni alla Ue. E questo, come spiega l’Ocse che sta varando un’importante iniziativa di contrasto al fenomeno, può avvenire in molti modi, come la creazione di rapporti debitori inesistenti o transazioni fittizie con consociate in paradisi fiscali o in Paesi a tassazione più leggera. Per contrastare il fenomeno ci vorrebbe un intervento choc di riduzione delle imposte sulle imprese di almeno 40-50 miliardi che al momento appare fuori portata, visti i vincoli del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio. Pensare di farcela unicamente con i "compiti a casa" (cioè la revisione della spesa pubblica) è temerario e praticamente impossibile. Dobbiamo fare il massimo per migliorare il sistema Paese sui punti cruciali: costo dell’energia, accesso alla rete, efficienza della giustizia civile, lotta alla corruzione e riduzione dei costi e dell’inefficienza della burocrazia, rilancio di istruzione, innovazione e ricerca. Ma alcune di queste riforme potranno produrre risultati solo nel lungo periodo. Proprio come l’apprezzabile e lungamente auspicato cambio di prospettiva della politica fiscale europea promesso da Jean-Claude Juncker, dopo l’insediamento a presidente della Commissione, con i già famosi «300 miliardi di investimenti».Investimenti ancora incerti e che produrranno frutti solo in anni futuri. Per invertire la rotta a breve restano pochissime possibilità, molte delle quali non nelle nostre mani. In partdilare due. Una politica monetaria choc, simile a quella americana e giapponese che 'getti moneta dagli elicotteri' con massicci acquisti di titoli sul mercato. Una politica di cambio diversa con la svalutazione dell’euro e iniziative coraggiose di ristrutturazione del debito come quelle ideate nel progetto 'Padre' ( Politically acceptable debt restructuring in the Eurozone) già discusso su queste colonne nel quale la banca centrale acquista e ristruttura il debito in eccesso dei Paesi membri. Vorremmo una classe dirigente consapevole dell’emergenza che si concentrasse sul problema. Vogliamo che «venga l’anno». È necessario per il Paese e per la stessa classe dirigente. Perché terminata la poesia dell’estate e delle vacanze, che gli italiani si sforzano di vivere nonostante le difficoltà, ci aspetta un autunno molto difficile in cui saremo nuovamente soli di fronte ai nostri problemi.
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