giovedì 24 maggio 2012
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​Cosa si può fare per impedire che il trauma per l’uccisione della sedicenne Melissa, a Brindisi, s’impianti nel cuore e nel cervello dei giovani suoi coetanei o più piccoli? Gl’insegnanti delle scuole di Brindisi, elementari, medie e superiori, hanno risposto: bisogna che i ragazzi ne parlino e ne scrivano. Cioè si esprimano. Espressione è l’esatto contrario di repressione, è un concetto che usiamo spesso. Chi sa un po’ di latino lo capisce al volo."Re" indica un movimento all’indietro: il messaggero mandato avanti a scoprire torna indietro a "riferire". Ma anche: un sentimento che vuol uscire viene compresso all’interno e soffocato. Resta lì, ed emergerà mesi dopo, anni dopo, decenni dopo, chissà in quali forme. È la "repressione". "E-ex" indica un movimento dall’interno all’esterno: qualcosa da dentro di noi viene detto ed esce, da quel momento appartiene a tutti. Benedetto Croce chiama "espressione" l’attività scritta-parlata dell’artista, mentre è semplice "comunicazione" l’attività scritta-parlata degli altri uomini, compresi gli scienziati. L’"espressione" è liberatoria. Un trauma espresso smette di essere un trauma. È il principio della psicanalisi. La psicanalisi è essenzialmente un allenamento all’espressione.

Con i loro pensieri i ragazzi di Brindisi hanno compilato un libro, molto interessante. Interessanti anche i pensieri pubblicati su Twitter. Ne troviamo a migliaia, in internet e sui giornali. Li scorriamo, e il mondo dei giovani ci si spalanca davanti.«Melissa voleva fare la stilista, il mondo della moda la ricordi con una giornata»: hanno inviato messaggi ad Armani, Prada, Della Valle, Versace, Cavalli ed altri maestri della moda. Non significa soltanto continuare la vita di Melissa, ma farla trionfare. È la vendetta su chi quella vita l’ha stroncata: l’assassino. Anzi: «assassinatore» come lo chiama un bambino delle elementari. «Assassinatore» è chi uccide più volte, per professione. I bambini non ammettono che uno uccida una volta, a caso. Se uccide, è perché sa fare quello, e non altro. È un uomo fatto male. Non va trattato come gli altri. «Va tenuto in prigione – scrive un bambino – senza pane e senza acqua»: questo bambino ha sentito che in prigione li trattano «a pane e acqua», ma vorrebbe che questo assassinatore fosse trattato peggio. Non credo che voglia dire: farlo morire di fame. Probabilmente, esprime un’idea di gradazione della pena carceraria, forse una prima idea di ergastolo.L’insulto più frequente all’assassino è «bastardo». «Bastardo» è più grave di «infame». Ma c’è anche chi scrive: «Caro colpevole...», che è un concetto superiore, oserei dire cristiano: la tua colpa è abominevole, ma tu ci sei caro. Perciò «pèntiti», gli scrive una bambina. E un’altra spiega: «Al tuo posto io mi vergognerei». Nell’età infantile, chi si vergogna lo si nota immediatamente, in famiglia, tra gli amici e a scuola: la vergogna è una forma di confessione pubblica, quindi di redenzione. «Cara Melissa, mi sembra che ti conosco da quando eri piccola»: sono in molti a scrivere direttamente a Melissa, chiamandola per nome. Come se Melissa potesse sentire e rispondere. Ma Melissa è morta, si può parlare ai morti? Leopardi risponde di sì, e ci dà l’esempio: «Silvia, rimembri ancora / quel tempo della tua vita mortale…?». Anche Silvia è morta, possono rimembrare qualcosa i morti? La poesia è nata per questo, per non-rassegnarsi alla morte. I primi monumenti che abbiamo del tempo prima della storia sono tombe, costruzioni dei vivi per i morti. I vivi non si sono mai rassegnati che i morti siano morti, hanno continuato a visitarli e a parlargli. Quei monumenti e quelle parole sono espressione di un turbamento: sono arte. Come questi messaggi dei bambini sono poesie.

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