giovedì 16 dicembre 2010
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Di fronte ai problemi della città, la Chiesa di Napoli non si è mai tirata indietro. Ora è il tempo di un passo in avanti:  i problemi hanno mutato i connotati in drammi e per la comunità ecclesiale c’è l’esigenza di andare oltre l’impegno ordinario. Se non mancano  fantasia e coraggio, proprio dalla terra che più di ogni altra coltiva emergenze, può accadere di doversi confrontare con un innesto del tutto speciale, qual è quello di un Giubileo cittadino, che fa memoria – ma non solo – dei dieci anni dell’Anno Santo del Duemila. Il Giubileo per Napoli – illustrato e motivato dalla Lettera pastorale del cardinale Crescenzio Sepe «Non perdete la speranza» – è la risposta che la Chiesa locale si è sentita di offrire a una città assediata dai suoi troppi mali e rappresentata ormai pericolosamente vicina al baratro finale. Una risposta ecclesiale, poiché è tale la natura del Giubileo che, di per sé, si caratterizza per la spiccata dimensione sociale. Il rischio che Napoli possa trovarsi di fronte a una delle sue tante, pur lodevoli, manifestazioni o raduni, è ben lontano: esiste, ed è già tracciato, un percorso pastorale che  segna la linea di demarcazione tra il semplice attivismo o la pura mobilitazione, e un impegno di più salde radici. Il Giubileo, anche quello a dimensione locale, pone in primo piano l’«annuncio ai poveri», la cura dei «cuori spezzati», la proclamazione della «libertà degli schiavi», la «scarcerazione dei prigionieri». Dio sa quanto tutto questo riguardi da vicino Napoli che, non  a caso, affida al capolavoro barocco del Caravaggio, le «Sette opere di  misericordie», l’emblema  di questo suo specialissimo evento. Anche per questo il Giubileo sembra tagliato su misura per venire incontro alle esigenze di un territorio aggredito da più parti da quella che la «Lettera» di Sepe definisce come un’«emergenza complessiva»: i mali antichi e nuovi, come la violenza organizzata e  la mancanza di lavoro, che si sommano alla triste attualità del dramma-rifiuti, a sua volta emblema  di tutta la lunga catena di disservizi, inadempienze e ritardi accumulate  da una gestione della cosa pubblica che ha avuto scarsissima cura per il  bene comune. Che fare? È stata e continua e essere la domanda di chi ancora crede nel futuro della città. La Chiesa si è spinta ben al di là, nella convinzione che il tempo delle analisi sia ormai alle spalle; o, almeno, sbiadisce di fronte all’esigenza – molto più pressante e attuale – di scuotere le coscienze e chiamare a raccolta le energie e le risorse disperse, per porle a servizio di un progetto, di un modo di vedere e ricostruire la città che tenga lontano altri scempi, come quelli dell’incuria, del disimpegno, e della diserzione di fronte ai doveri. La Chiesa non vuole assistere, restando in disparte, a ciò che avviene sul territorio stesso della propria missione. Non può darsi pace nel vedere una città sconfitta, perché insieme ad essa sarebbe sconfitta anche se stessa. Più di tutto non può rassegnarsi a considerare Napoli come una «storia finita male». Altri capitoli restano ancora da scrivere e, di suo,  la Chiesa vuole metterci un «inchiostro» che lascia traccia: quello  della solidarietà e della condivisione.Ecco allora il Giubileo che da oggi –  a partire dalla Stazione marittima – muove i primi passi del suo pellegrinaggio nella realtà e nel cuore di un territorio che proprio in questo primo decennio del XXI secolo ha forse vissuto i suoi  momenti più difficili. Chiamerà a raccolta, nel segno della speranza di Cristo, e lungo il cammino di un anno, gli uomini di buona volontà che non vogliono saperne di resa e rassegnazione, e dirà loro che la città non si salva da sola. Parlerà di coraggio, perché è venuto il momento di andare oltre ai lamenti e alle recriminazioni- spesso giuste e legittime - ma che non portano lontano. Indicherà che a  Napoli  c’è bisogno di riscoprire una forma di generosità, finora mai troppo praticata: quella del servizio al bene comune. Mostrerà il volto di una Chiesa che vuole ripartire dalla consegna finale del Grande Giubileo del Duemila, quel «Duc in altum», che rimane il grande messaggio di speranza per l’umanità del nuovo millennio.  Di questa speranza, che ha poco a che fare con la semplice consolazione, una buona quota, magari sotto forma di risarcimento, spetta a Napoli . Il Giubileo sembra  il cantiere giusto per cominciare a ricostruire.
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