Quel male mai «leggero», luoghi comuni e nuovi rischi
sabato 12 gennaio 2019

Droga leggera, che male c’è nella droga leggera? Dà colore al grigio della vita ordinaria, la condisce di qualche sogno, di qualche emozione. Certo, un poco ti strania, ti porta fuori; ma non è forse questo il suo segreto, la sua magia? La temporanea ebbrezza dell’essere altrove, in fuga o in rifugio, in lucido stordimento, in desiderato inganno. Una tregua al mal di vivere, forse, un temporaneo artificio di gioia simulata. Una bandiera di libertà, senza lacci, senza divieti. E poi in fondo, non si fa così anche con l’alcol, che non è proibito, e che pure sbronza e fa delirare anche peggio, e che per giunta rovina il fegato, e che si può comperare per pochi spiccioli nei supermercati? E allora perché la cannabis è proibita? Non è forse il proibizionismo che produce l’effetto di impinguare la criminalità che si arricchisce con il commercio clandestino? Così sento dire, e recitare, e anche un poco vociare, nei giorni in cui l’elogio della cannabis light risuona in varie parti del mondo, (e chissà che i colossi del mercato voluttuario non aguzzino le orecchie fiutando l’affare).

Da noi vi si insinua una recente proposta di legge depositata da un senatore 5stelle, che vorrebbe legalizzare la coltivazione in casa, il possesso, il consumo di certe quantità e qualità di cannabis. Improvvida, almeno a confronto con quanto si legge sul sito della Presidenza del Consiglio (Dipartimeno politiche antidroga) circa gli «effetti collaterali che possono derivare dall’uso» (nota: non dall’abuso, ma dall’uso): «distorsione della percezione, tachicardia, ipertensione arteriosa e aritmie, vertigini, alterazioni dell’orientamento spazio-temporale, alterazione della coordinazione motoria, irritabilità, attacchi di ansia e di panico, episodi psicotici di natura paranoidea, alterazioni della memoria e difficoltà di apprendimento, deficit cognitivi».

No, la cannabis in casa, nel giardino o nel vaso sul balcone, non sembra un buon regalo per i nostri figli. Gli anni dell’adolescenza, in cui di solito cade il primo consumo di cannabis, sono una fase cruciale per lo sviluppo cerebrale, che raggiunge il suo picco. Una fase vulnerabile. I guasti, i disagi psichici, le difficoltà cognitive di chi ci passa e ci resta sono descritte in innumerevoli studi. L’illusione di disinnescare la dipendenza mediante un consumo "leggero", con ridotta concentrazione di Thc, è una strada obliqua e pericolosa, che facilita l’iniziazione. È la spinta su un declivio che può farsi ripido e divenire precipizio. Allo stesso modo è micidiale l’iniziazione all’alcol dei ragazzini invogliandoli a bere bevande a gradazione ridotta; non è questo che scongiura il rischio del successivo binge drinking (l’abbuffata alcolica) nel tempo. Dunque, il nocciolo del problema è educativo, in radice.

Si tornerà a discutere, sono sicuro, sulla "riduzione del danno" che la legalizzazione della droga vorrebbe procurare; si ripeterà il già detto e il già sentito sulla sottrazione del turpe mercato ai trafficanti, per rimetterlo in ordine dentro i recinti della legge e così farne disciplina (turpe restando la bisogna). Ma è il percorso dei rassegnati, è il ripiego dei disperati, è l’abbandono dei disertori. Ogni droga è schiavitù: non è libertà sostituire i ceppi della droga criminale con i manicotti fasciati della droga legale. Dalla droga bisogna liberarsi. Al fondo, il discorso sulla libertà di fronte ai paradisi artificiali ha senso perché si intreccia col senso delle nostre facoltà volitive e cognitive. Sono queste che ci umanizzano, che ci fanno diversi da ogni altra creatura, che ci fanno liberi; ossia ci slacciano – unici – dal determinismo causale che regna nel mondo. È questo che mette davanti a ogni uomo l’acqua e il fuoco. Liberi? Liberi sì, ma non quando subiamo l’infarto della volontà; liberi sì, ma non quando ci procuriamo la nebbia delle facoltà cognitive.

Il miracolo umano, che Dante rammenta come vocazione a «seguir virtute e canoscenza», è sfregiato dagli artifici che manipolano e offuscano la mente. Il maledetto equivoco della libertà come "passar fuori", come trespass. Sballo, via di testa; in Dante il «folle volo». Se si capisse infine che c’è una sapienza della libertà che non è divieto ma guida, che non è sbarra ma corsia, che non è limite ma pienezza. Quella pienezza di umanità che la verità della vita chiede, e che la droga falsifica.

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