venerdì 1 ottobre 2010
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È ormai vicina la 46esima Settimana sociale dei cattolici italiani: una qualificata rappresentanza del "mondo cattolico" si interrogherà a Reggio Calabria su una possibile ripresa di iniziativa dei credenti che sono in Italia in ordine ai problemi della società. "Un’Agenda di speranza per il futuro del Paese", questo il tema, già nella sua intitolazione pone in evidenza quella dimensione pratica della presenza dei cattolici che era rimasta in parte in ombra nelle due precedenti Settimane - Bologna (2004) e Pistoia (2007) - che pure avevano affrontato due temi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, rispettivamente quelli della democrazia e del bene comune. Il richiamo alla «speranza» appare particolarmente importante in ordine agli attuali scenari della politica. Se è forse eccessivo parlare di «disperazione» nei confronti di essa, non vi è dubbio che, non solo fra i cattolici, serpeggino atteggiamenti di delusione, di disincanto, di rassegnato distacco. Non è, quella che stiamo vivendo, una bella stagione per la politica: forse mai come in questi ultimi anni il dibattito sui problemi del Paese si è imbarbarito e involgarito e quasi abissale si è fatta la distanza fra chi opera in ambito politico e la generalità dei cittadini (i dati sulla stessa partecipazione al voto sono francamente inquietanti…).Reggio Calabria vorrebbe lanciare - proprio a partire da questo contesto, e su questo sfondo - un messaggio di speranza. Ma a partire da quali motivazioni, e per quali vie? È per sollecitare un’attenta riflessione su questo tema, appunto in vista della Settimana sociale, che si svolgeranno qui alcune essenziali considerazioni. La prima considerazione per un ritorno alla speranza (in politica e in Italia) è la presa di coscienza dell’importanza che la politica riveste per tutti gli uomini e le donne del nostro Paese. Per certi aspetti la buona politica è un poco come la buona salute, ci si accorge di essa quando la si perde, o ci si avvia a perderla. Fuor di metafora, sono ancora troppi i cittadini - anche i credenti - i quali nutrono l’illusione della "irrilevanza" della sfera pubblica per la stessa sfera privata. Le due sfere si incontrano a ogni momento e sarebbe illusorio pensare di ritagliarsi una dimensione puramente privata (o magari devozionistica). Comprendere che la politica è cosa di tutti, e conseguentemente avviare concreti meccanismi di partecipazione di base, è la condizione indispensabile perché si possa tornare a «sperare».Rinverdire la «speranza politica» significa, tuttavia, anche compiere un ulteriore passo avanti: quello che porta a individuare le cose da fare (non inopportunamente si parlerà, a Reggio Calabria, di un’agenda: essa non è soltanto un libriccino, ma un’ideale individuazione delle priorità). Si cammina qui sul sottile crinale che separa le responsabilità dei cristiani come Chiesa e quelle dei cristiani come cittadini; non è al primo livello che si possono determinare le "cose da fare", ma al secondo, attraverso una scelta di campo che non può essere propriamente ecclesiale ma di cattolici. Proprio qui sta il problema di fondo con il quale a Reggio Calabria ci si dovrà misurare. Fino a che punto si potrà tracciare un’agenda condivisa? Il rischio che si profila è quello di una semplice "dichiarazione di intenti". Occorrerà invece da una parte mettere a nudo una serie di limiti e di carenze dell’attuale politica italiana e dall’altra indicare le vie da percorrere per uscire dal guado e per preparare, grazie anche all’apporto dei cattolici, un’Italia migliore. Ma il passaggio dalla denunzia alla proposta sarà tutt’altro che facile e indolore: e tuttavia si tratterà di un passaggio necessario se si vorrà evitare il rischio di limitarsi, ancora una volta, alla mera affermazione dei "grandi principii".
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