mercoledì 14 novembre 2012
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«Un’elemosina, un insulto, una vergogna». È l’urlo di un uomo esasperato quello che Salvatore Usala ha affidato ieri al computer azionato col solo movimento dei suoi occhi per protestare una volta ancora contro lo stanziamento deciso dal governo per l’accudimento dei disabili gravi come lui: 200 milioni, una cifra che Usala considera appena la metà di quella necessaria per l’assistenza più umana ed efficace, quella domiciliare.La malattia ha imbavagliato il fisico ma non certo la determinazione di questo 59enne di Monserrato, alle porte di Cagliari, leader di fatto in una mobilitazione che ha coinvolto fino a 70 pazienti affetti dalla Sclerosi laterale amiotrofica, l’implacabile malattia neurodegenerativa che immobilizza progressivamente i muscoli ma sembra moltiplicare la vitalità di chi ne viene avvinghiato (l’esempio più noto è Mario Melazzini, apparentemente inesauribile). Conoscendo la straripante voglia di vivere di molti malati di Sla, testimoni contagiosi di una dignità umana che resta assolutamente piena e persino sovrabbondante anche nella camicia di forza dell’infermità, suona strana la decisione annunciata, poi sospesa e ancora rilanciata di avviare come forma estrema di protesta addirittura uno sciopero della fame. Che è già assai faticoso da affrontare per una persona in piena salute, figuriamoci per chi si alimenta attraverso un sondino inserito direttamente nell’organismo.Per disabili in queste condizioni ridurre o sospendere la nutrizione equivale a rischiare immediatamente la vita, alzando la posta oltre ogni proporzione rispetto a ciò che si chiede. Chi non vorrebbe fermare un suicidio annunciato? Ma anche lo sciopero della fame pare non essere più sufficiente per il fronte di chi protesta (un drappello tra i 5mila malati italiani, ma apparentemente pronti a tutto e con una crescente mediatizzazione di gesti e parole, tanto da parlare di voler «morire in diretta tv» esponendosi all’uso strumentale dei soliti predicatori della 'autodeterminazione').Usala – non nuovo a gesti clamorosi – spinge ancora oltre la frontiera e accanto ai toni durissimi del comunicato diffuso ieri annuncia di volersi presentare tra una settimana davanti al Ministero dell’Economia senza riserva per alimentare il ventilatore polmonare. Il che equivale a dire che la morte potrebbe sopraggiungere per soffocamento nel giro di poche ore, in piazza, tra i passanti, davanti alle telecamere, sempre che il governo non raddoppi la cifra promessa. Un irrealistico ricatto, l’ha definito Melazzini, aspramente criticato da Usala. Sia chiara una cosa.L’affetto e il rispetto per ogni disabile grave ci spinge a chiedere di fare tutto il possibile. Gli strati di spreco della spesa pubblica sui quali si può e si deve intervenire, attivando così i risparmi necessari a soccorrere chi ha bisogno di assistenza professionale continuativa, sono ancora in buona parte inesplorati. Ed è da lì che bisogna attingere per mostrare solidarietà concreta ai malati di Sla, così come alle famiglie di chi è in stato di minima coscienza, alle migliaia di italiani che soffrono di malattie rare, a chi si occupa di anziani non autosufficienti, di bambini disabili, di pazienti oncologici...La lista delle fragilità è lunga quanto i doveri dello Stato, che non può abbandonare i cittadini quando sono nella condizione di massima debolezza ma che tanto più in quest’epoca di ristrettezze deve fare i conti con esigenze socialmente diffuse, egualmente rilevanti e del tutto sproporzionate rispetto alle risorse. Ecco perché i 200 milioni raggranellati nelle pieghe del bilancio pubblico, pur insufficienti, devono costituire una base sulla quale costruire un nuovo patto tra disabili e Stato. Del quale dovrà far parte quella risorsa immateriale e inestimabile che è la prossimità di quanti, attorno al paziente e alla sua famiglia, possono stendere una rete di sostegno e condivisione. Perché mai come davanti all’uomo debole è vero che lo Stato siamo anche noi.
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