Cambiamenti minuscoli
martedì 28 settembre 2021

Sventurata la terra che ha bisogno d’eroi, ha scritto il drammaturgo Bertolt Brecht. Il suo Paese oggi sembra avere esteso ai leader la categoria di persone delle quali è meglio fare a meno. Perché dal voto di domenica – ma il processo avanza da tempo – non è emersa alcuna personalità sufficientemente forte e carismatica da guadagnarsi nelle urne in modo evidente il diritto e l’onere di guidare la Germania e, di conseguenza, orientare le politiche europee. Sedici anni di cancellierato Merkel hanno fatto della Germania la nazione ricca e stabile che conosciamo, incamminata con prudenza e pragmatismo verso una società più aperta e inclusiva, sempre meno inquietata dai fantasmi del passato e capace di sfruttare la sua influenza per attutire all’interno gli sconvolgimenti di questo inizio secolo.

La Kanzlerin è stata anche Mutter, negli ultimi quattro anni con una grande coalizione capace di coprire quasi tutto lo spettro politico, lasciando ai margini solo l’estrema destra e l’estrema sinistra, che pure stavolta resteranno fuori dall’alleanza di governo. Forse un’ultima corsa di 'Mamma' Angela, sempre rassicurante ma pronta a decisioni nette quando necessario, avrebbe evitato il tracollo dei cristiano-democratici, scesi sotto la soglia psicologica dei 200 seggi al Bundestag in seguito al loro peggiore risultato nelle urne. Invece a contendersi la sua eredità sono stati tre politici che hanno promesso, come è stato detto, un cambiamento con la 'c' minuscola, privo di grandi visioni per il futuro e poco adatto a scaldare i cuori.

Nessuno strappo e continuità un po’ grigia per Armin Laschet, scelto in modo sofferto dalla Cdu e sostenuto senza tanta convinzione da parte dell’establishment, tanto da dover tentare all’ultimo un’inutile virata a destra su alcuni argomenti caldi. Qualcosa di sinistra ha detto Olaf Scholz, ben lontano dall’essere un esponente radicale dei socialdemocratici, ministro delle Finanze uscente sotto Merkel, determinato ad aumentare il salario minimo e ad agire sulle tasse, solo per citare un tema che comincia a infiammare la discussione in Italia.

Deludente si è infine rivelata Annalena Baerbock, che non è riuscita a cavalcare adeguatamente la forte spinta ambientalista che viene soprattutto dai giovani e che avrebbe potuto trasformarsi in un’onda trionfale se tradotta in un programma convincente. Ne è uscito un quadro frammentato dietro la forte avanzata della Spd, di misura prima forza in Parlamento. Nel gioco delle alleanze possibili entreranno anche i liberali, quarta forza con Christian Lindner presidente di lungo corso, il quale potrà fare valere il suo potere di coalizione puntando a diventare il guardiano dei conti (casalinghi e pure di Bruxelles).

Che i tedeschi non volessero scossoni né sorprese lo dice perfino il successo dei sondaggi della vigilia, che hanno fotografato perfettamente l’esito finale. Fedeli dovrebbero essere quindi le rilevazioni che segnalano un’ampia preferenza popolare per l’esperto e solido Scholz come guida del Paese rispetto al gaffeur Laschet, riuscito persino a confondersi nel seggio elettorale. La trattativa sarà presumibilmente lunga e gli scenari sono aperti. Le diverse geometrie della possibile coalizione (ciascuna denominata evocativamente secondo i colori dei partiti: Semaforo, Giamaica, Kenya e Germania) sarebbero foriere di scelte diverse, oggi però nessuna sembra davvero orientata a segnare una discontinuità rilevante rispetto agli ultimi anni, anche a motivo del gioco degli equilibri che un esecutivo composito necessariamente implica.

Avere un cancelliere socialdemocratico o popolare centrista farà certo una differenza non trascurabile, ma sembra difficile che il realismo merkeliano venga soppiantato presto. Il preminente interesse tedesco, pur temperato da una scelta europeista convinta, è destinato a guidare la linea di Berlino nella Ue, e sarebbe ingenuo pensare che Scholz possa improvvisamente fare cadere tutte le resistenze del Nord frugale verso il Sud 'prodigo'. Il rischio, semmai, è che un’Europa alla ricerca di leader veda assottigliarsi ulteriormente la pattuglia di figure di spicco portatrici di idee. Il presidente francese Macron sta entrando nel tunnel elettorale che lo porterà a cercare una complessa rielezione la prossima primavera. Il premier italiano Draghi affronterà presto le sirene che lo vorrebbero condurre al Quirinale e, di fatto, fuori dai ruoli operativi.

Dobbiamo sperare che una speciale 'grazia di stato' accompagni colui che sarà scelto in Germania per non dovere rimpiangere una situazione che nel Vecchio Continente già non è ideale. Si ritaglierà più spazio sulla scena l’unica donna tedesca che poteva aspirare a succedere a Merkel? Ursula von der Leyen, attuale presidente della Commissione europea, pur nei limiti di funzioni e poteri della sua carica, avrà forse l’occasione, insieme a Draghi se resterà a Palazzo Chigi, di dare un’impronta rinnovata all’azione di Bruxelles. Un’impronta tanto più urgente di fronte a Paesi come Cina, Russia e anche Stati Uniti che non considerano una sventura avere un leader dotato di personalità, coraggio e iniziativa.

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