venerdì 21 settembre 2012
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​È un tuffo nel passato, un ritorno al lessico dei tempi sovietici quando la Pravda e le Izvestia non perdevano occasione per attaccare «gli agenti stranieri». Ad oltre vent’anni dal crollo dell’Urss il Cremlino ha scoperto che questi pericolosi infiltrati esistono ancora, anzi si sono mimetizzati a tal punto da apparire tutt’uno con l’amata Rodina, la madrepatria russa.Bisogna partire da qui per analizzare la recente decisione delle autorità moscovite di mettere al bando Us Aid, l’ente americano per l’assistenza all’estero. Che si tratti di un’agenzia straniera è incontestabile, lo dice il nome stesso. Ma ad essere colpite sono in realtà le principali Ong russe che dal primo ottobre dovranno fare a meno dei finanziamenti di Us Aid. In base ad una legge votata dalla Duma e controfirmata da Putin nel mese di luglio, tutte le organizzazioni non governative che ricevono soldi dall’estero sono considerate alla stregua di "agenti stranieri". E così associazioni gloriose come "Memorial" ed il "Gruppo di Helsinki", impegnate nella difesa dei diritti umani, ma anche iniziative più recenti come "Golos", l’unica organizzazione indipendente di monitoraggio delle elezioni in Russia, si ritrovano improvvisamente forestiere in casa propria, sorvegliate politicamente e sottoposte a controlli finanziari severissimi. Con la chiusura di Us Aid tutte le Ong umanitarie saranno costrette a ridurre le attività. Insomma, dovranno lottare per la loro sopravvivenza economica più che per lo sviluppo della democrazia nel Paese. È l’ennesima conferma della deriva autoritaria di Putin, tornato per la terza volta al Cremlino pochi mesi fa. Chi sperava in un suo cambiamento di rotta, o almeno in qualche timido gesto d’apertura nei riguardi dell’opposizione, ha dovuto ricredersi. Oltre alla contestata legge sugli "agenti stranieri", il vecchio-nuovo zar dagli occhi di ghiaccio ha approvato un giro di vite su Internet («campo libero per guardoni e maniaci sessuali», l’ha definito una volta) e ha introdotto multe salatissime per chi organizza o semplicemente partecipa a manifestazioni non autorizzate (fino a 300mila rubli, cioè oltre 7mila euro). Del resto, a scendere in piazza sono sempre di meno, come si è visto nelle ultime dimostrazioni di sabato scorso, quando si sono ritrovate poche migliaia di persone. Il movimento di protesta, nato all’indomani delle elezioni politiche di dicembre sull’onda dello sdegno popolare per i massicci brogli, ha perso slancio dopo la vittoria di Putin nelle presidenziali di marzo ed appare sempre più eterogeneo e senza leader. E non sembra che abbia giovato al movimento l’esaltazione delle "Pussy Riot", le ragazze punk divenute icona della rivolta con la loro più che discutibile performance nella cattedrale di Mosca (anche se la loro condanna a due anni di prigione risulta eccessiva; una settimana di silenzio in un convento sarebbe stata pena più adeguata e probabilmente più efficace). Ma queste sono finezze ignote all’ex agente del Kgb nella sua guerra contro i nuovi "agenti stranieri". Desta invece stupore l’atteggiamento tenuto da Obama. Il portavoce della Casa Bianca aveva duramente criticato il verdetto dei giudici di Mosca nei confronti delle "Pussy Riot", ma sulla chiusura di Us Aid a Mosca c’è stata solo una laconica dichiarazione, secondo cui «la decisione non si deve interpretare come un cambiamento della politica estera russa verso gli Stati Uniti». Hillary Clinton si è limitata a chiedere una proroga dei termini stabiliti per la chiusura dell’Agenzia. È la linea dell’appeasement, per dirla con il linguaggio della diplomazia che andava di moda ai tempi sovietici. A quanto pare il vecchio lessico non sembra dispiacere neanche ad Obama.
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