martedì 19 ottobre 2010
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C’è un Paese che non si perde lungo le derive del malvivere, del malaffare e della malapolitica, ma che neppure si ritrova nel sistematico e prevalente racconto mediatico della realtà italiana. È un Paese che i lettori di Avvenire conoscono bene: è quello che ci sforziamo di raccontare ogni volta che ne abbiamo l’occasione (e cercandole, le occasioni, quando non sembra che ce ne siano). È un Paese che, nonostante il frastuono degli slogan del "pensiero corretto" e dei tamburi del relativismo, sa ancora e sempre riconoscere i valori fondativi del vivere insieme: l’amore rispettoso per la vita di ogni uomo e di ogni donna dal primissimo inizio al naturale compimento; il riconoscimento pieno del ruolo unico della famiglia; la libertà di pensare, credere ed educare.Questo Paese l’abbiamo visto largamente rappresentato a Reggio Calabria, nei giorni della 46ª Settimana Sociale dei cattolici italiani, giorni intensi e sereni di dibattito e di confronto dei quali abbiamo dato e (ancora oggi) diamo conto. È un Paese fatto di gente consapevole e impegnata in modo coerente, a ogni livello della comunità ecclesiale e della società civile. È un Paese che per fortuna riesce ancora a specchiarsi in più di un esponente del mondo politico, ma che anche in esso – da troppo tempo – si vede e si sente sotto-rappresentato. È un Paese che coincide con la gente di Calabria che, la scorsa settimana, abbiamo incontrato in aeroporto, per strada, sui luoghi del loro lavoro e su quelli del nostro: gente amabile e tenace, sobria e rigorosa, generosa e mai invadente (l’esatto contrario delle belve della ’ndrangheta che hanno braccato, ucciso e sciolto nell’acido Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia).Questo Paese è fatto di persone che danno più di quel che ricevono, e che sanno pensare al futuro comune, al bene di tutti. È un Paese di gente esigente. Gente che dai grandi valori-base sa far discendere, con chiarezza, pur tra le cento difficoltà e contraddizioni che ogni giorno si vivono, tutti gli altri suoi "sì" e "no". No alle mafie e all’economia ridotta a speculazione, no all’uso irresponsabile della natura e del potere politico, no allo sfruttamento e allo svilimento del "diverso" e dell’indifeso, no ai partiti senza democrazia interna (dove cioè mancano le regole o dove in nome delle regole si uccide la libertà di coscienza). Sì, invece e sempre, alla cultura della legalità e alla ben regolata integrazione dei nuovi cittadini, sì alla "pulizia" e al rigore della classe dirigente e a un federalismo sussidiario e solidale (antidoto alla rottura strisciante dell’unità nazionale), sì a un fisco equo che non penalizzi più i nuclei familiari con figli e non sia clemente con gli evasori fiscali, sì alla ricostruzione di un welfare sostenibile e alla restituzione agli elettori del potere di scelta sugli eletti in Parlamento, sì a una sanità efficiente e al servizio dei malati e a un mondo del lavoro che sia "flessibile" per accogliere i giovani e non solo per farli precari, sì a un’Italia che si batta con coraggio nel mondo per affermare i diritti umani e il rispetto delle minoranze perseguitate.Sono "sì" e "no" che pesano. Di gente che non si accontenta dello spettacolino increscioso della politica-gossip e della politica-veleno, dell’economia rapace e lazzarona, del sindacalismo conservatore e miope e della giustizia azzoppata. Di gente che parla sempre di più di un’altra politica e di un’altra «generazione» di politici. Eppure – in questo tempo cinico e baro nel quale sembrano contare solo le «scelte» di campo e di fazione (con Bersani, con Berlusconi o con Casini?) e in cui le «mediazioni» finiscono per essere sempre e solo quelle che fanno strame dei valori fondativi, cari ai cattolici e a tanti laici – quelle idee-cardine, quelle parole, quelle attese pesanti paiono non fare rumore. Non somigliano all’Italia sangue e lustrini che abita le pagine di tanti giornali (non di tutti, e meno male). Dicono che sia il racconto dell’Italia che «vogliono i più». Noi non ci crediamo. C’è un Paese che non si accontenta, non si accontenta proprio. Ed è un Paese che si esprime soprattutto nella forza costruttiva di quello che si è soliti chiamare il mondo cattolico. Noi, ancora una volta, l’abbiamo visto bene. Disattenti e disinteressati forse non faranno male ad aprire gli occhi.
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