giovedì 17 marzo 2011
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Caro direttore,mi è tornato in mano un editoriale di Marina Corradi del dicembre scorso, scritto dopo che un gruppo di giovani violenti avevano devastato Roma. Corradi fa un bel raffronto tra la rabbia del 2010 e la speranza dei ventenni del dopoguerra, che vivevano una situazione oggettivamente peggiore. La lettura mi ha ricordato un brano di Giovannino Guareschi: «Com’era bella l’Italia pezzente del 1945! Ritornavamo dalla lunga fame dei Lager e trovavamo l’Italia ridotta a mucchi di macerie. Ma, fra i mucchi di calcinacci, sotto i quali marcivano le ossa dei nostri morti innocenti, palpitava il vento fresco e pulito della speranza. Quale differenza fra l’Italia povera del 1945 e la povera Italia miliardaria del 1963! Tra i grattacieli del miracolo economico soffia un vento caldo e polveroso che sa di cadavere, di sesso e di fogna. Nell’Italia miliardaria della "dolce vita" morta è ogni speranza in un mondo migliore». Quella di Guareschi è una profezia. Nel 1963, quando tutti ci sentivamo "in crescita", Guareschi dichiarava la morte della speranza come già avvenuta. In effetti il ’68, il divorzio, la contraccezione di Stato, il terrorismo, l’aborto, lo sballo del sabato sera, erano lì dietro l’angolo in rapida sequenza. Giovannino addita anche il colpevole: la "dolce vita", l’atto con cui certe élite intellettuali cominciavano a godersela, invece di vivere la vita come impegno. Allora erano solo le élite. Oggi una "dolce vita" da straccioni non la si nega a nessuno. Un sottofondo permanente di volgarità e gossip in tv, pornografia a volontà dal cinema e da Internet, riviste immonde da due soldi, droga a tutti i livelli, pratiche sessuali e sballo nei fine settimana, aborto, divorzio, convivenze a fare da "ruota di scorta". La differenza tra i ragazzi poveri del 1945 e i poveri ragazzi del 2011 è semplice, in fondo. Nel 1945 vedevano le macerie, vedevano i morti innocenti, vedevano che la nuova classe politica che li guidava non era colpevole di quei morti e di quelle macerie. Oggi ci vuole un occhio più attento: le macerie sono le famiglie distrutte, i morti innocenti sono i 5 milioni di bimbi abortiti, ma la classe politica che li ha prodotti e che li produce è ancora lì, a guidarci (nel baratro) da 40 anni. Non è questione di destra o di sinistra. Il "vento caldo e polveroso" dell’ideologia radicale invade tutto e annichilisce l’azione di tutti. A nessuno viene più in mente che il matrimonio non divorziabile era il miglior investimento economico per un giovane e per una famiglia. A nessuno viene in mente di dire ai ragazzi la frase: «Ragazzi, la vita è cosa seria. I bambini non si abortiscono, mai. Prima ci si sposa, poi ci si accoppia». Pazienza. Prima o poi qualcuno si accorgerà che la speranza per i giovani ha una precondizione: che un vento fresco e pulito spazzi via il vento caldo e polveroso dell’ideologia radicale. Ci vorrà tempo, ma prima o poi accadrà. Perché la rabbia, alla lunga, stanca. E qualche giovane prima o poi si girerà attorno a cercare un’alternativa di speranza. Un caro saluto

Giovanni Lazzaretti - San Martino in Rio (Re)

L’altro vento – quello fresco e pulito – soffia ancora, soffia sempre. Ma è vero, caro Lazzaretti: ci sono porte e finestre da aprire per farlo entrare, ci vogliono naso, testa e cuore liberi per annusarlo e riconoscerlo, servono polmoni coraggiosi per respirarlo e mani e braccia forti per saperlo toccare e abbracciare… Fuor di metafora, bisogna allenarsi alla «vita buona». E questo è esattamente ciò che la Chiesa chiede a se stessa (e non solo a se stessa) nel momento in cui indica l’urgenza di impegnarsi sul fronte di una grande «sfida educativa». C’è infatti un coro vasto, e tristemente concorde, che si fa cullare dal vento «caldo e polveroso» che Guareschi così vividamente e profeticamente annusava e che lei evoca così a proposito. Ma non è vero, mi creda, che «a nessuno viene in mente di dire ai ragazzi la frase: "Ragazzi, la vita è cosa seria…"». Non è vero. C’è chi lo fa e non si stanca. C’è, soprattutto, chi lo testimonia. Madri e padri, preti, poliziotti, insegnanti, volontari… E tanti giovani non hanno solo incertezze rabbiose, ma vivono già la scomoda e eccitante libertà della speranza e la convinzione della comunità. Non posso proprio fare a meno di vederlo e di esserne rincuorato, anche se non ignoro e mi rendo perfettamente conto dell’attrazione infine maligna che un nullificante relativismo (la sirena del "tutto è uguale", "tutto è ugualmente possibile") esercita su tanti di noi e soprattutto sui ragazzi. Ma so, anche guardando nella mia esperienza, che non è vero che la via più facile e più alla moda è sempre e per davvero la più attraente. E soprattutto percepisco – e qui cito una considerazione tratta dalla prolusione del cardinal Bagnasco ai lavori del Consiglio permanente della Cei dello scorso gennaio – che c’è una bella "ribellione" giovanile, forte e mai violenta, quella di quei ragazzi e di quelle ragazze che «non vogliono certo essere accarezzati come degli eterni adolescenti, desiderano essere considerati responsabili e quindi trattati con serietà, ma chiedono di non sentirsi soli, gettati nella vita e privi di possibilità». Serietà, ecco una parola chiave e impegnativa che ritorna. E in nessun modo è sinonimo di tristezza, e in niente ammicca alla rassegnazione. C’è una risposta, anch’io l’ho cantato infinite volte, e davvero blowin’ in the wind, soffia nel vento. Nel vento fresco e pulito, caro Lazzaretti, che lei ama. Il buon vento che dobbiamo insegnare (e continuamente reimparare) a cogliere.
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