martedì 2 gennaio 2018
Il regolamento sui «cibi insoliti» abbatte una barriera tecnica, non quella culturale. L’entomofagia però è già praticata da 2 miliardi di persone
Insetti commestibili Ora è possibile allevarli e venderli
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Da ieri, 1° gennaio, è in vigore anche in Italia il regolamento della Ue sui novel food, i cibi insoliti, termine che più azzeccato non si può per definire gli insetti che potremo – perché la legge lo consentirà – servire in tavola. Esclusa la corsa a rifornire i frigoriferi di grilli, cimici d’acqua, bachi da seta e tarantole: secondo lo studio più recente di Coldiretti, il 54% degli italiani è contrario alla novità, i favorevoli sono solo 16 su cento, il resto si divide tra indifferenti e indecisi.

Passerà comunque un po’ di tempo prima di trovare questi prodotti nei supermercati, perché mancano leggi nazionali che definiscano i protocolli per l’allevamento e la trasformazione degli insetti. Ma se in noi occidentali l’idea di assaggiare larve e bruchi scatena il disgusto più sincero, per le tradizioni culinarie di molte zone del pianeta gli insetti sono una prelibatezza: fritti, in umido o arrosto si trasformano in piatti nutrienti, gradevoli al palato e salutari. L’uso alimentare degli insetti è molto diffuso al mondo, sebbene sparpagliato, con 1.400 specie considerate commestibili e portate in tavola – seguendo i gusti locali – in quasi cento Paesi, 36 in Africa, 29 in Asia, 23 nelle Americhe e 11 in Europa (dati della National Geographic Society). La Fao – impegnata da decenni a combattere le emergenze alimentari del pianeta – ha mobilitato fin dal 2008 un cospicuo gruppo di ricerca internazionale in modo da verificare le potenzialità di questa risorsa per risolvere carenze alimentari e proteiche, consapevole che l’entomofagia è comunque una prassi per circa due miliardi di persone.

La carne di insetto eguaglia – dal punto di vista nutritivo – le carni rosse e il pollame: cento grammi di termiti africane contengono 610 calorie, 38 grammi di proteine e 17 grammi di grassi. Un’analoga porzione di larve di falena di calorie ne offre 375, di proteine 46 grammi e dieci di grassi. Basta fare il confronto con un hamburger: 245 calorie, 21 grammi di proteine e 17 di grassi. Se dai bruchi si potessero ricavare bistecche sarebbero percentualmente più proteiche di quelle dei manzi: 30 a 27.

Gli insetti sono una fonte proteica di tutto rispetto, a basso costo e altrettanto basso impatto ambientale: al contrario dei manzi, necessitano di quantità di acqua irrisorie, il loro allevamento non dipende dalla disponibilità di terreno – per gli allevamenti ma anche per la coltivazione del foraggio – e basta poco per alimentarli. Di più: è possibile nutrirli con i rifiuti organici di cibo e prodotti umani. E se il destino di mucche e vitelli – il macello – si compie in mesi o anni, vermi e bachi sono pronti a finire in padella dopo poche settimane. E non è tutto: per produrre un chilo di carne bovina ce ne vogliono otto di nutrimento, e solo due per un chilo di carne di insetto. Anche eticamente una dieta a base di locuste e termiti è più sostenibile, ed è facile capire perché considerato che il settanta per cento della produzione cerealicola mondiale è impiegato per sfamare animali che a loro volta nutriranno appena il dieci per cento della popolazione del pianeta. Mangiare carne è un lusso per pochi.

Ci sarebbe da procurarsi subito un libro di ricette... È escluso, però, che il consumo di insetti si diffonda alle nostre latitudini e non solo perché qui da noi sarebbe antieconomico procurarsene quantità sufficienti per un pranzo ottimo e abbondante. È probabile che, essendo riservato a una nicchia di consumatori, il prodotto non sarà a buon mercato e resterà confinato a una cerchia ristretta in grado di spendere per togliersi lo sfizio. Gli insetti, cioè, rischiano di diventare il contrario di quel che la Fao si prefiggeva: non un cibo nutriente ed economico destinato a placare la fame di molti ma una moda per pochi. Un indizio di ciò sta nel fatto che sono già scesi in campo gli ormai immancabili chef stellati, e anche da parecchio: René Redzepi, chef e co-proprietario a Copenaghen del «Noma» – eletto per ben quattro volte miglior ristorante del mondo — già nel 2015 proponeva nel menu il Garum di cavallette, una rivisitazione della salsa di pesce fermentata che tanto piaceva agli antichi romani, con aggiunta di cavallette e larve di scarabeo. E nel 2012 il nostrano Carlo Cracco si cimentava con locuste brasate al vino rosso, conquistando la copertina di Wired.

Ma il vero ostacolo che si frappone tra noi e l’entomofagia è di carattere culturale: come recita l’ormai arcinota frase dell’antropologo Claude Lévi-Strauss un cibo deve essere prima di tutto «buono da pensare». Anche la scienza ha chiarito ormai da tempo che è il cervello, e non la lingua, l’organo del gusto. Tutti insieme – i nostri organi, il nostro intelletto, la nostra cultura – hanno esiliato gli insetti dalle nostre abitudini alimentari. Esiliati, cioè allontanati – per ora – perché un tempo neppure troppo lontano anche gli europei erano insettivori. Secondo Aristotele le cicale sono più prelibate allo stato di crisalide, mentre se gli esemplari sono adulti «i maschi sono i migliori da mangiare; ma, dopo l’accoppiamento, le femmine, tutte piene di bianche uova come sono»: dal che si deduce che Aristotele doveva essere abituato a consumarne in quantità.

Anche i Romani – come attesta Plinio nella Naturalis Historia – erano ghiotti in special modo di una larva dotata di corazza, chiamata cossus. Può darsi che l’esilio degli insetti duri ancora per poco se ha ragione Marvin Harris che – in Buono da mangiare, un libro del 1985 fondamentale per la storia del gusto – ribalta la teoria di Lévi-Strauss affermando che il «buono da pensare» diviene tale solo se «buono da mangiare» e quindi solo se è utile e conveniente: i cibi preferiti – scrive l’antropologo americano – sono quelli «che fanno pendere la bilancia dalla parte dei benefici pratici, rispetto a quella dei costi, a differenza di quanto non avvenga per i cibi aborriti, cattivi da mangiare». Se e quando lo riterremo conveniente, non è escluso che modificheremo la nostra cultura e cominceremo a mangiare insetti.

Oppure alghe e meduse. Le prime contengono un tesoro di vitamine e antiossidanti. E non solo: per cento grammi di prodotto secco, 60 sono di proteine. Nella stessa quantità di carne secca le proteine sono tra il 45 e il 50%, se si considera la soja la percentuale scende tra il 30 e il 35. Con una sostanziale differenza: la produzione di soja si aggira sulle tre tonnellate per ettaro, mentre nello stesso ettaro si possono coltivare trenta tonnellate di alga spirulina. Per il momento la produzione dell’alga non è economicamente competitiva, ma ci sono gruppi di scienziati – il Cnr in prima linea – al lavoro per la riduzione dei costi. E che dire delle meduse? Per il momento, in Italia sono interessanti esclusivamente per l’industria alimentare che produce mangimi animali (quegli animali che poi nutrono noi). Ma in Giappone, Cina, Corea e nel Sudest asiatico fanno normalmente parte del menu.


Da sapere: Importate o da allevamento ecco le specie commestibili

Le specie di insetti che ora – volendo – possiamo portare in tavola sono 17. Il regolamento Ue riconosce gli insetti sia come nuovi alimenti sia come prodotti tradizionali da Paesi terzi. Quali sono quelli edibili? Si comincia con il Verme Agave, apprezzato dai messicani che lo conservano nella tequila, e il verme del bambù che dà il suo meglio pastellato e fritto. Altro verme – il Mopane – ricorda i cereali se essiccato. Ecco poi le formiche Honeypot, dal caratteristico addome rigonfio di una sostanza simile al miele, e le Hormigas Culonas, cucinate in Sudamerica (pare sappiano di pistacchio) mentre sa di limone la terza e ultima specie di formiche amazzoniche che la Ue ha reso legale importare. La lista prosegue con i millepiedi, i grilli – questi ultimi reperibili in commercio anche sotto forma di farina – e le libellule, consumate soprattutto in Cina e in Indonesia tanto allo stato larvale che da adulte. Ci sono poi le vespe, i coleotteri, le cavallette – una tra le specie più consumate al mondo – e le locuste. L’elenco termina con i bachi da seta, le camole, le larve di mosca e – chi avrà il coraggio di mangiarli? – gli scarafaggi.

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