martedì 24 marzo 2015
​Lo scandalo Petrobras ha travolto politica ed economia. Mentre si susseguono le manifestazioni popolari, la presidente Rousseff rischia la messa in stato d'accusa. (Gherardo Milanesi)
COMMENTA E CONDIVIDI
«Scenderemo ancora in piazza. Lo faremo per denunciare la cultura della corruzione e dell’impunità della classe politica. Le proteste prima dei Mondiali non sono servite, siamo di fronte alla più grande vergogna nazionale di tutti i tempi», tuonano i giovani di Revoltados on line e del Movimento Brasil libre che rivendicano anche la messa in stato d’accusa della presidente Dilma Rousseff. Per comprendere le dimensioni dello scandalo che ha travolto la Petrobras, il gigante brasiliano del petrolio, e ha fatto crollare la credibilità della Rousseff provocando una crisi di governo senza precedenti, basta un particolare: un solo alto funzionario dell’azienda statale, l’ingegnere Pedro Barusco, ha dirottato su conti svizzeri una cifra pari a oltre 40 milioni di euro.  Grazie alla collaborazione delle autorità svizzere, buona parte della somma è già rientrata in Brasile. Si tratta del più alto valore in tangenti mai rimpatriato nella storia del Paese del Samba, seguito solo dal tesoretto del direttore dei rifornimenti Paulo Roberto Costa, il primo dirigente a denunciare il giro di mazzette, che aveva a sua volta intascato l’equivalente di circa 23 milioni di euro.  Secondo calcoli ancora approssimativi elaborati dalla stampa locale, è senza dubbio il più grande scandalo mai venuto a galla dalla fine della monarchia: 10 miliardi di reais, l’equivalente a 3 miliardi di euro, finiti in un fiume di tangenti. Un sistema che attraverso la sovra-fatturazione sistematica a decine di società e contractors compiacenti favoriva i politici dei principali schieramenti. Il buco astronomico ha spinto persino lo Stato americano del Rhode Island a intraprendere una class action (azione legale di gruppo) per le ingenti perdite subite comprando le obbligazioni della Petrobras.   La Corte Suprema brasiliana ha dato il via libera alle indagini su oltre 50 esponenti di alto livello della classe dirigente, inclusi i presidenti di Camera e Senato, rispettivamente Eduardo Cunha e Renan Calheiros. Nella lista degli indagati del fascicolo Lava Jato ('Autolavaggio', così lo scandalo è stato battezzato in Brasile) figurano, fra gli altri, anche l’ex capo dello staff della presidente Dilma Rousseff, Gleisi Hoffman; il suo ex ministro dell’Energia, Edison Lobao; e Antonio Palocci, ex ministro dell’Economia sotto il presidente Lula da Silva ed ex capo di Gabinetto della Rousseff. Ma nella lista consegnata dal procuratore generale Rodrigo Janot al Supremo tribunale federale di Brasilia, ci sono anche altri nomi illustri nella nomenklatura brasiliana: José Dirceu, ex capo di Gabinetto del presidente Lula già arrestato per lo scandalo di acquisto di voti di politici dell’opposizione, e persino quello di Collor de Mello, ex capo dello Stato deposto da un impeachment nel 1992, il primo avvenuto in America Latina. Nel maggio del 2008 la Petrobras valeva 737 miliardi di reais, l’equivalente di 200 miliardi di euro al cambio dell’epoca. A fine 2014 dell’impresa petrolifera rimangono appena 125 miliardi di reais. Secondo l’opposizione di centro-destra, il Partito dei lavoratori (fondato dall’ex presidente Lula), avrebbe utilizzato mazzette pagate dall’azienda petrolifera pubblica per finanziare la campagna elettorale di Dilma Rousseff alle presidenziali del 2010. Il socialdemocratico Aecio Neves, sconfitto da Dilma alle presidenziali dello scorso ottobre, ha minacciato l’impeachment nei confronti della presidente: «Non possiamo dimenticare – ha tuonato Neves – che Dilma Rousseff è stata presidente del Consiglio di amministrazione della Petrobras, per ben 7 anni: dal 2003 al 2010. Il sistema di tangenti funzionava già a pieno regime in quel periodo».  «Lo scandalo della Petrobras paralizzerà il Paese?», si domanda il prestigioso settimanale economico Exame. Di fatto il Brasile è già piombato nel caos e la stampa spiega in quali casi la Rousseff potrebbe davvero essere costretta a dimettersi. L’effetto Petrobras ha fatto crollare la popolarità della presidente al 23%, il minimo storico. Una trentina di grandi società brasiliane, in maggioranza imprese edili, sono state coinvolte nello scandalo e hanno abbandonato interi cantieri in diverse regioni del Paese. Centinaia di contratti sono stati cancellati e molti crediti diretti alla realizzazione di grandi opere di infrastruttura sono stati sospesi. Le azioni della Petrobras, spesso ago della bilancia della Bovespa (la Borsa di San Paolo) hanno toccato i minimi storici trascinando i mercati verso il baratro. A Wall Street le azioni sono crollate dell’85% negli ultimi 4 anni. Anche il real, dopo un periodo di ipervalorizzazione seguito da una lenta ma costante svalutazione, è tornato alle quotazioni di oltre 10 anni fa, periodo della crisi, e nelle case di cambio per comprare un dollaro ci vogliono ormai quasi 3,20 reais quasi il doppio rispetto al 2011.  Una svalutazione che non è tuttavia bastata a favorire l’export e a sanare il deficit della bilancia commerciale di 91 miliardi di reais (equivalenti al 4,12% del Pil del 2014), il peggior livello degli ultimi 13 anni. Gli interessi di credito per gli assegni bancari su cui viene offerta una linea di prestito (i cosiddetti assegni speciali) hanno superato il 200% all’anno, il tasso più alto dal 1999.  Un aumento che ha favorito la contrazione dell’economia, ormai prossima alla recessione. Cento economisti consultati dalla Banca centrale brasiliana hanno tagliato, per la terza volta consecutiva, la stima di crescita del Pil del Paese nel 2015, dallo 0,4% della scorsa settimana allo 0,3%. «L’inflazione ufficiale, nonostante la promessa del governo di limitarla al 4,5 per cento, da tre anni non scende sotto la media del 6% – spiega Marcelo Neri, economista della prestigiosa Fondazione Geatulio Vargas –. Ma la percezione del potere di acquisto delle famiglie è calata addirittura del 20% dal 2013 ed è ancora una delle principali cause di impopolarità della Rousseff».   Secondo l’Onu la politica del governo ha strappato dalla povertà quasi 40 milioni di brasiliani in 15 anni. Ma la crisi si fa sentire ormai anche nelle roccaforti elettorali della Rousseff, che si trovano tradizionalmente proprio nelle regioni più misere dove milioni di poveri sopravvivono soprattutto grazie alla politica fortemente assistenzialista del governo. Nelle zone più remote e agricole del Paese si chiudono nove scuole al giorno: 3.296 nel 2013. E negli Stati del Nord-est, legati al Partito dei lavoratori, l’effetto di un welfare esasperato ha provocato una diminuzione della forza lavoro oltre che consolidare la disoccupazione più alta della nazione. «Il governo ha continuato a regalare pesce invece che canne da pesca – è la metafora di Neri – con un risultato ovvio: la popolazione adesso preferisce ricevere il sussidio del governo piuttosto che darsi da fare per guadagnare un po’ di più».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: