Ben Vivere nelle città: quella libertà con gli altri
venerdì 29 marzo 2019

«La libertà è la sola vera ricchezza» sosteneva lo scrittore inglese William Hazlitt a metà dell’’800. Ma c’è una versione, in particolare, della libertà, che rappresenta questa ricchezza nella sua forma più alta ed eccellente: si tratta della libertà di fare "con gli altri e per gli altri". È questo l’elemento principale che con il Rapporto che oggi presentiamo abbiamo cercato di far emergere e misurare nella sua distribuzione tra le province italiane. Lo chiamiamo "generatività" e siamo convinti che esso rappresenti, nelle sue dimensioni di innovatività, di relazionalità e di sostenibilità, il dato cruciale nella determinazione del "ben vivere" dei nostri luoghi.

Nella sua analisi ormai classica del concetto, Isaiah Berlin parte da una visione di libertà come assenza di ostacoli al soddisfacimento dei desideri di una persona. Punto di partenza, questo, che poi, prontamente, andrà a criticare sostenendo che, se la libertà fosse veramente una funzione del soddisfacimento dei propri desideri, essa si potrebbe ottenere sia raggiungendo quel soddisfacimento, che, simmetricamente, riducendo i desideri stessi.

Lo "schiavo felice" non ha niente, ma è felice perché portato a non desiderare niente. A pensarci bene questa illusione di libertà, non è poi così tanto lontana da una visione (in)civile dell’economia post-capitalistica nella quale i bisogni sono sempre più condizionati ed eterodiretti. A che serve partecipare alla vita pubblica, per esempio, se posso comunque consumare? A che serve lavorare con fatica, se posso comunque guadagnare?

Ma la libertà non è neanche soltanto l’assenza di coercizione: dati i miei desideri, la possibilità che niente e nessuno si frapponga fra essi e me. A questa accezione negativa, ne va affiancata, infatti, un’altra, positiva: la "libertà di", la possibilità, cioè, non solo di darsi obiettivi, desideri, aspirazioni, ma anche la sussistenza di tutte le condizioni necessarie affinché questi siano concretamente, raggiungibili.

Berlin fa l’esempio di un corridoio pieno di porte. La libertà allora non sarà solo legata alla scelta di percorrere o no quel corridoio e fino a che punto, ma piuttosto, da quante porte troverò aperte o chiuse, da quante strade potrò scegliere di percorrere, anche se alla fine il percorso sarà solo uno. Quelle porte possono essere chiuse o aperte da qualcuno, come l’azione umana può, intenzionalmente, allargare o ridurre gli spazi delle opportunità che si offrono al nostro progetto di vita.

Quelle porte possono generare opportunità ed esistenze possibili se vengono tenute aperte, oppure possono vincolare, frustrare e ostacolare scelte e prospettive, se qualcuno deciderà di chiuderle. Le condizioni sociali, politiche ed economiche che le nostre comunità si danno, determinano direttamente o indirettamente, il numero di porte aperte o chiuse, lo spazio delle nostre vite possibili, della possibilità di vivere la vita che desideriamo perché la riteniamo degna di essere vissuta, questo è il benessere; questo, diventa il "Ben Vivere", in particolare, se tale domanda ce la poniamo insieme agli altri e con gli altri; se da fatto individuale, le condizioni della felicità, le pensiamo come relazioni.

Del resto, nella tradizione dell’economia civile italiana, la felicità o è pubblica o non è. Lo sviluppo è quindi, costitutivamente, quel processo attraverso il quale le libertà vengono espanse e le varie forme di illibertà vengono combattute, insieme. A volte la povertà è origine di illibertà, come quando non si può pianificare un futuro certo per sé e per i propri figli a causa delle ristrettezze economiche o della precarietà del lavoro.

Altre volte, l’illibertà diventa fonte di povertà. Il diritto negato ad un’istruzione di qualità, l’essere costretti a vivere e crescere in un ambiente degradato socialmente ed ecologicamente, il non aver accesso a cure appropriate e tempestive, sono tutte causa di povertà, nelle sue più diverse accezioni. Questo processo circolare, virtuoso o vizioso, può essere meglio compreso, siamo convinti, attraverso la lente della generatività, della sua presenza o della sua assenza.

Ecco perché nel Rapporto sul Ben Vivere delle province italiane, questo concetto trova spazio ampio e definizione quantitativa. Quattro spazi di generatività, delle relazioni, dell’inclusione socio-economica, della cura e dell’impegno civile, nei quali la responsabilità individuale e sociale, le scelte pubbliche e private, le condizioni ambientali e demografiche, aprono o a volte, purtroppo, chiudono le porte del corridoio di Berlin. Abbiamo cercato di misurare questi spazi, di capire quali territori nel nostro articolato e differenziato Paese, riescono a valorizzarli maggiormente e a valorizzare così il potenziale creativo e generativo delle persone che li abitano, cercando, in questo modo, di fornire nuovi strumenti per la fioritura integrale di ciascuno di essi.

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