martedì 22 febbraio 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro direttore, ho letto la sua risposta al lettore Ferrante (Avvenire del 17 febbraio) e condivido la lode della pacatezza, ma mi stupisco che non abbia detto una parola di verità e di conforto al signor Ferrante: se si sente schiavo di qualcosa o di qualcuno al di fuori di lui, vuol dire che non crede alla potenza di Gesù Cristo che ha dato la sua vita ed è risorto proprio per donarci la libertà dei figli di Dio e che ha detto: «Non abbiate paura, io ho vinto il mondo». Forse è soltanto schiavo del suo risentimento contro quelli che sente nemici e contro il degrado morale dilagante. Proprio nella liturgia della parola di domenica scorsa c’era una risposta a tutte le nostre paure e difficoltà: già nella prima lettura è contenuta una chiamata alla santità; nella seconda san Paolo ci dice che tutto è nostro e noi siamo di Cristo, quindi ci trasmette la signoria di Cristo su tutte le cose, e infine il Vangelo ci dà i mezzi per compiere tutto ciò: «Amate i vostri nemici»! Questo è ciò che fa dei cristiani un popolo diverso da tutti gli altri: l’amore al nemico! Ci crediamo o no? Ci crediamo o no che Gesù Cristo è morto e risorto per la salvezza di tutti gli uomini, anche dei peggiori farabutti e di quelli che si macchiano dei più schifosi delitti, o questo ci scandalizza? Noi cristiani siamo chiamati alla lotta non contro le creature di carne e di sangue, ma contro il male e per questo Dio ci fornisce le armi necessarie: la preghiera soprattutto e non occorrono manifestazioni e grida. L’unico grido che ci giova e quello di Pietro che sta affogando: «Signore salvami!». E allora Gesù ci tende la mano e ci salva. La saluto cordialmente

Vitale Troilo

Caro direttore,mi rivolgo a lei per il suo senso di coerenza e anche di pacatezza, però è importante capire perché le persone alzano la voce, si indignano, si arrabbiano, anche se non abbiamo il diritto di arrabbiarci con le persone, ma solo per i loro comportamenti. Vorrei riprendere il concetto del signor Luigi Ferrante. Credo che la Chiesa – e lo dico umilmente – non possa fare e dire niente di fronte al degrado morale che tutti percepiscono. Rubare non è detto che sia peccato, dipende dal tipo di necessità… Bestemmiare può essere tollerato, dipende dalla situazione nella quale ci si trova… Andare con minorenni (e più di una) può essere normale, visto – si dice – che lo fanno tanti... Credo che questo non sia uno schierarsi politicamente, cosa che non desidero. Ma ritengo che combattere il peccato in tutte le forme sia un dovere cristiano. Con affetto

Paolo Cauzzo, Treviso

Forse non sono abbastanza saggio per rispondere alle attese di entrambi, cari amici Troilo e Cauzzo. O, forse, continuo solo a fidarmi dei lettori di Avvenire, a credere che nella loro testa e nel loro cuore (come in quelli di tanti italiani per bene) ci sia molto di più e di meglio dello stomachevole frastuono e degli opposti slogan di questi mesi attorno al cosiddetto "caso Ruby". Forse mi sforzo, con i miei colleghi, di mettere semplicemente a disposizione dell’intelligenza e della coscienza di chi ci segue tutti gli elementi di cronaca e di opinione utili a giudicare uno dei passaggi più difficili e amari della nostra vicenda comune di italiani. E a ricordare che ogni matassa ha un bandolo, e dunque può e deve essere districata senza perdere tempo, ma anche senza frenesie e isterie. A ciascuno il suo dovere, e questo è – dovrebbe essere – il servizio svolto da chi fa un giornale (e per noi, che lo facciamo da cattolici, certamente lo è). Accolgo perciò il rimbrotto gentile e denso di Vitale Troilo e quello dolente e ironico di Paolo Cauzzo per come li sento io e per quello che, in realtà, si dimostrano per tono e profondità: voci che accompagnano la nostra, e la completano. Come dovrebbe essere sempre nel rapporto tra un giornale e i suoi lettori. Una cosa vorrei, però, che fosse chiara: è ben possibile sentire la libertà, nutrire la speranza e usare la carità cristiane evocate da Troilo e, al tempo, stesso vivere e valutare le cose del mondo con il rigore morale richiamato da Cauzzo. E se rileggo le parole che abbiamo scritto su Avvenire e, soprattutto, quelle che ci sono state via via consegnate – esse sì con saggezza – dai nostri vescovi, vedo che è proprio questo il punto. Mi auguro che in tanti, pur con comprensibile a fatica, riescano a centrarlo...
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI