Avvenire, 50 anni in dialogo
martedì 4 dicembre 2018

Mezzo secolo fa, di queste ore, Avvenire era un neonato che vagiva nella nursery, ma qualche infermiera scuoteva il capo: povero piccolo, non ce la farà. Invece quasi tre anni dopo il bimbo viveva: il 27 novembre 1971 la famiglia di Avvenire veniva ricevuta da Paolo VI. Di incontri con i Papi ce ne sarebbero stati molti altri. Ma questo era il primo, e avrebbe segnato per sempre la nostra storia. È possibile racchiudere 50 anni in uno sguardo solo, dire chi eravamo e siamo in poche frasi? Certo, tornando a quel 27 novembre. La prima cosa che Paolo VI ci disse fu che Avvenire è «un centro di dialogo», dunque non un distributore automatico di 'verità' precotte ma un luogo d’incontro per chi, onestamente e sinceramente, aveva voglia di confrontarsi, senza temere di misurarsi con il Vangelo. Montini aggiungeva subito: Avvenire sia un giornale «capace di rendere i cattolici uomini veramente buoni, uomini saggi, uomini liberi, uomini sereni e forti». Cinque aggettivi, in questo ordine. Così abbiamo navigato nelle acque di un mezzo secolo che ha ribaltato più volte il mondo, in cui valori e consuetudini di vita sono morti e risorti, gli equilibri del mondo si sono spostati. Dialogando. E, obbedendo all’invito del nostro 'Papa-papà', Montini, Avvenire ha fatto sua la lezione del Concilio: siamo dentro il mondo, lo amiamo, lo ascoltiamo, osserviamo, cerchiamo di comprenderlo e di raccontarlo, partecipiamo, e alla fine esprimiamo giudizi aperti al superamento di contrasti e fratture. Scriviamo per incontrare e includere, senza condannare nessuno. Abbiamo sempre cercato di evitare la tentazione anti-conciliare di chi teme il mondo: trovandolo incomprensibile e lontano, troppo lontano da come vorrebbe che fosse, lo maledice, nelle novità vede solo i rischi e gli errori, e così lavora per la separazione e la chiusura. La rotta è salda anche con direttori dalle personalità diverse. Dopo l’avvio di Leonardo Valente, Angelo Narducci guida Avvenire nelle stagioni durissime del divorzio e del dissenso. Altre due brevi direzioni, di Angelo Paoluzi e Pier Giorgio Liverani, fino agli anni 80 di Guido Folloni, con Ersilio Tonini presidente del Cda ed editorialista di punta. Quindi un’altra stagione breve ma dalla personalità spiccata, con Lino Rizzi. Poi i 15 anni di Dino Boffo, in cui Avvenire assume il profilo simile a quello attuale: Agorà, Noi, Popotus, è vita, le riforme grafiche, Ravasi in prima pagina. Poi i nove anni di Marco Tarquinio, con un profilo sempre più autonomo dall’informazione e dal pensiero 'dominanti': mentre la crisi dei quotidiani prosciuga le tirature, Avvenire resiste e cresce di ruolo, caso quasi unico, segno di una coerenza e una serietà che alla fine premiano. Oggi come allora. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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