venerdì 16 settembre 2011
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Si avvicina il momento in cui il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale dovranno affrontare la richiesta di riconoscimento della Palestina come Stato membro dell’Onu, 63 anni dopo che Israele ha dichiarato e visto sancire internazionalmente la propria indipendenza. Apparentemente si tratterebbe di una tardiva applicazione della Risoluzione 181 dell’Onu che, chiedendo la fine al Mandato Britannico, prevedeva la simultanea creazione di un’entità nazionale ebraica e di una araba in Palestina. In realtà si tratta di un atto politico dal significato pesantissimo che per alcuni sanerebbe un’incomprensibile ingiustizia storica mentre per altri innescherebbe una nuova spirale di violenza in tutta la regione.Di fronte al sicuro veto americano in Consiglio di Sicurezza e al quasi altrettanto esito favorevole in Assemblea Generale, i palestinesi potrebbero vedersi riconosciuto lo status di «Stato non membro-osservatore»: un miglioramento rispetto alla loro condizione attuale di «osservatore permanente» anche se meno di ciò a cui aspirerebbero e a cui hanno diritto.Occorre subito chiarire che un simile esito non sarebbe in alcun modo un "compromesso", cioè il frutto di una "mediazione" ma semplicemente la presa d’atto dello stallo del negoziato bilaterale. Per ricorrere a una metafora rugbystica (visto il campionato del mondo in corso in Nuova Zelanda) rappresenterebbe il momento in cui, preso atto che la pressione contrapposta di due squadre (Israele e Palestina) impatta senza permettere a nessuno di superare la "linea del vantaggio" (cioè di guadagnare terreno), l’arbitro ordina la ripresa del gioco con una "mischia ordinata", cioè attraverso una formalizzazione dell’impasse che però consenta di rimettere in gioco la palla.Si arriva infatti a questo punto dopo che in 20 anni (da Oslo e Madrid a oggi) il cosiddetto processo di pace non ha prodotto altro che un gigantesco ghetto governato da Hamas, periodicamente invaso, bombardato, assediato o soffocato economicamente da Israele, un’Anp che è sempre più percepita dalle popolazioni che amministra come un governo "collaborazionista delle forze di occupazione", la proliferazione degli insediamenti ebraici in territorio palestinese (aumentati del 600% negli ultimi mesi), l’invasione del Libano nel 2006, la recrudescenza degli attentati contro la popolazione israeliana e un generale peggioramento delle condizioni di sicurezza in tutta la regione.Il processo di pace, condotto attraverso trattative bilaterali tra israeliani e palestinesi patrocinate da Washington, si è ormai arenato da anni. E, cinicamente, molti osservatori ritengono che non abbia alcun senso che proprio ora la comunità internazionale si rifaccia carico di un intervento diretto (per quanto simbolico) nella questione israelo-palestinese, con tutti i rischi che questo comporta. Ma quel che è cambiato in questi mesi, l’elemento di grande novità, è la rapida, sorprendente perdita di influenza di Washington in Medio Oriente e nel mondo arabo più in generale: e a mano a mano che l’egemonia americana nella regione si indebolisce, sarà impossibile evitare la deflagrazione di una nuova guerra arabo-israeliana se non verrà risolta la questione palestinese.Solo l’egemonia americana in Medio Oriente ha finora impedito che un ordine senza equilibrio non degenerasse in disordine e caos. Ma quei tempi stanno rapidamente finendo. Ed ecco che, in una simile congiuntura, l’audacia diventa la sola forma di prudenza possibile e la tradizionale prudenza diventa irrisolutezza suicida. Francia e Inghilterra sembrano averlo capito e appaiono orientate a mandare un segnale di attenzione al mondo arabo e a risvegliare il governo dello Stato ebraico (uno dei più miopi e inadeguati della storia di Israele) dalla paralisi che sembra averlo colpito dopo lo scoppio delle rivoluzioni arabe. Tra i 150 Stati che potrebbero votare a favore della mozione palestinese ci sono ovviamente la Siria e l’Iran, ma anche la Svezia, il Portogallo, il Belgio e la Spagna: Paesi amici di Israele, questi ultimi, preoccupati per la sicurezza di tutti i popoli del Medio Oriente, a iniziare da quello ebraico. E consapevoli che lasciare scorrere il tempo senza agire è l’unico lusso che non possiamo più permetterci se ci sta a cuore la pace.
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