Attenti a lodare BoJo: istantanee di un disastro
giovedì 1 aprile 2021

Nelle sedute dal dentista, il ricordo è più sgradevole se il dolore maggiore è stato percepito alla fine dell’intervento. Quando, al contrario, a parità di dolore, il disagio è andato in calando, l’esperienza viene vissuta e rammentata come meno negativa. Si tratta dell’effetto picco-fine, ormai ben noto in psicologia, dopo gli studi del premio Nobel Daniel Kahneman. Insomma, meglio partire male e terminare bene per dare un’impressione migliore di sé e del proprio operato, anche a parità di risultati o, addirittura, con prestazioni peggiori di chi invece in media si è comportato bene, ma ha avuto una conclusione meno felice. Noi esseri umani siamo fatti così, e la scienza cognitiva ci sta rivelando tutte queste nostre 'debolezze' innate. Gli esperti dovrebbero invece essere più avvertiti rispetto alle distorsioni inconsapevoli del pensiero. Cosa che non è accaduta in questi giorni rispetto a Boris Johnson – BoJo per gli amici e per i media – e alla sua azione di contrasto del Covid-19. Si sono sprecati, infatti, su molti media gli elogi per il premier britannico e il suo governo, capaci di raggiungere il felice e ragguardevole risultato di zero vittime a Londra lo scorso lunedì. Il merito va alla campagna vaccinale che ha portato a immunizzare, alla data del 25 marzo, un inglese su due con almeno la prima dose di AstraZeneca contro meno del 20% degli italiani sopra i 16 anni. Viva Johnson, allora, con lo sfruttamento dell’«avidità» delle aziende, come egli stesso ha dichiarato, salvo poi rettificare l’affermazione come una «battuta»? Non proprio, perché se superiamo l’effetto piccofine e torniamo all’inizio della registrazione, il film di successo si trasforma nel reportage di un fallimento. Con un’altra piccola premessa che aiuta a capirne le proporzioni.

La Procura di Bergamo sta indagando su eventuali ritardi da parte di Regione Lombardia e Governo nazionale nell’introduzione della zona rossa in Val Seriana, uno dei primi grandi focolai dell’epidemia, a inizio marzo 2020. Familiari delle vittime e inchieste giornalistiche sottolineano come soltanto due o tre giorni di anticipo delle chiusure avrebbero probabilmente potuto fare la differenza nella diffusione del contagio e, quindi, nel numero di vittime.

Che cosa è accaduto nel Regno Unito in quegli stessi giorni? Johnson e i suoi consulenti scientifici, malgrado le misure restrittive adottate da molti altri Paesi europei, decisero di scommettere sull’«immunità di gregge», ovvero far correre il coronavirus invitando a salutare i cari «vecchietti» e cercando di tutelare le persone fragili con il consiglio di isolarsi. Una mossa disastrosa, che molti ricercatori contestarono subito. È illuminante il paragone con l’Irlanda, che verosimilmente ha avuto in partenza una situazione epidemiologica simile. Dublino decise di introdurre il lockdown il 12 marzo dell’anno scorso, mentre in Italia scattò il 9 marzo. A Londra si continuò invece con la strategia del 'contenere, ritardare e mitigare' per altri otto giorni, periodo in cui i malati sintomatici non venivano testati malgrado le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità. Quando fu pubblicato un rapporto dell’Imperial College che stimava in 500mila i morti per Covid se non si fosse adottata una politica estremamente rigorosa, solo allora il governo britannico cambiò rotta. La giustificazione fu che i dati dell’epidemia erano cambiati. La realtà è che vi era stata un’enorme e colpevole sottovalutazione. Il 20 marzo vennero chiuse le scuole e il 22 marzo varato un pacchetto di restrizioni generali. Ma il virus era già in circolo a ritmo accelerato. A fine giugno, il tasso di letalità in Irlanda era del 6,8%, in Gran Bretagna del 14%.

Il 10 giugno 2020, Neil Ferguson, primo autore del rapporto citato in precedenza, stimò che, delle 40mila vittime fino ad allora registrate, la metà si sarebbe potuta evitare con l’introduzione del lockdown una settimana prima. A oggi la Gran Bretagna che sta vincendo la corsa dei vaccini (e questo va riconosciuto) ha avuto 127mila decessi, peggior Paese europeo, davanti all’Italia che ne conta 109mila. L’epidemia non è conclusa e si può certo affermare che i conti andrebbero fatti quando saremo davvero usciti dal tunnel. Per ora, tuttavia, rimane utile non farci fuorviare dall’effetto picco-fine e giudicare le scelte dei leader e degli esperti in tutte le loro conseguenze, fin dal principio, senza concentrarci sull’ultima fase più rosea. Anche per non sbagliare le figure da lodare e gli esempi da seguire.

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