martedì 25 febbraio 2014
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La prefazione di papa Bergoglio al nuovo libro del cardinale Gerhard MüllerPovera tra i poveri, con la riproposta tesi che la ricchezza è un bene se è usata per gli altri, mi fa tornare in mente Erich Fromm, Avere ed essere (che sono due contrari), e la nostra narrativa della civiltà dei consumi («La civiltà dei consumi consuma l’uomo»). Noi che scriviamo libri e articoli pensiamo sempre che questo è un problema che riguarda industriali, manager, dirigenti, produttori di beni. Non noi, produttori di parole, in prosa o in versi. Non è vero. Riguarda anche noi. In pieno. Pensiamo a quanto il lavoro dello scrittore sia guastato dal fatto che è sempre valutato (dai datori di lavoro, editori e giornali, e dai destinatari, i lettori) in relazione al guadagno che produce. Uno scrittore è "grande" se il suo guadagno è grande, è "piccolo" se il guadagno è piccolo.È un criterio che ha conseguenze nefaste. Ma è imperante. Nei cataloghi editoriali, nelle vetrine delle librerie, nelle biblioteche private, nelle recensioni dei giornali, nelle traduzioni all’estero, nei premi letterari... L’agente che propone a un editore straniero: «Ho un romanzo bellissimo per te, dovresti tradurlo», si sente rispondere: «Quanto vende?». Il consulente che compila schede di lettura per l’editore che lo paga trova sulla scheda domande pre-compilate a cui deve rispondere, e l’ultima è: «Il libro che proponi quante copie pensi che venderà?». Allargando il discorso del Papa, anche l’arte è sottoposta alla ricchezza. Se non ha un buon rapporto con la ricchezza, se non produce ricchezza, non viene pubblicata (se è in forma di libro), o esposta (se quadro), o proiettata (se film), e così via. "Ars artis gratia", l’arte per l’arte, diceva la scritta intorno alla criniera del leone della Metro-Goldwyn-Mayer. Ars gratia pecuniae, l’arte per il denaro, correggeva sarcastico Mel Brooks. E non vale solo per la Metro, ma per tutte le compagnie di produzione.Purtroppo gli autori non sono solo vittime di questo sistema, molti ne sono anche artefici. Un buon poeta che non nomino dava i suoi libri alla Mondadori, per la splendida collana "Lo Specchio". Un giorno lo vado a trovare, abitava a Roma, entro e chiudo la porta. Sul retro della porta vedo inchiodato un assegno. Lo guardo. Era emesso dalla Mondadori, pagava i diritti d’autore di una edizione, l’importo era miserabile, qualcosa come oggi 30-40 euro. «L’ho messo lì – fa il poeta – a vergogna del mio editore». «Ma tu pensi che il libro abbia venduto di più?», «No, ma non si tratta così un poeta». Discorso sbagliatissimo. Un libro di poesie non lo pubblichi per i soldi, ma per le recensioni. Se scrivi per i soldi, scrivi pessime poesie. Una vita vissuta per i soldi (e non per gli altri, la famiglia, i figli, l’utilità sociale, dice in sostanza il Papa) è triste e infelice.Eugénie Grandet amava intensamente il padre, che era corroso dall’avarizia, e quando il padre muore lei gli va incontro e s’inginocchia: «Beneditemi, padre». E lui: «Custodisci i miei beni, mi renderai conto di tutto, laggiù». Imbattendomi per la prima volta in questo testo io, studente di ginnasio, credevo che "laggiù" significasse "ciò che sta laggiù, in fondo alla stanza, nel sacco". Il professore mi corresse: «Laggiù, all’Inferno». Aveva un grande bene davanti a sé, papà Grandet: l’amore filiale. Ma non lo vedeva. L’amore della ricchezza lo accecava.Adesso siamo a una grande svolta, nella storia del rapporto tra libri e soldi: passiamo dall’editoria su carta all’editoria digitale. Nascono i nuovi cataloghi di ebook. Gli editori scremano gli autori che hanno in catalogo, e quali mettono in ebook? I meglio recensiti? I più apprezzati? No, i più venduti e i più premiati. Entriamo in un’epoca del tutto nuova, ma portiamo con noi il vecchio cancro della scrittura finalizzata al guadagno.
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