domenica 7 novembre 2010
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Caro direttore,in questi giorni la morte, inesorabile e violenta, ha sconvolto Acerra, bagnando di sangue le vie dei quartieri della nostra amata città. E a rendere quasi insopportabile l’evento, stavolta è il fatto che teatro della violenza sono le mura domestiche, dove si è tragicamente spezzato il legame naturale e fondamentale tra un padre e un figlio. La sera di Ognissanti un giovane di 21 anni, da tutti descritto in queste ore come «un bravo ragazzo», non ha retto di fronte all’ennesima scena di violenza e, per difendere la madre, ha ucciso il padre, il quale, ubriaco e drogato, era solito picchiare la giovane moglie e aveva reso infernale la vita dell’intera famiglia. Di fronte a tale fatto sconcertante la città non può restare inerte. Le istituzioni preposte devono assumersi le responsabilità proprie nel far fronte al gravissimo disagio sociale che colpisce le famiglie e i giovani di Acerra. È finito il tempo delle chiacchiere e del rimpallo di responsabilità. C’è un’emergenza educativa da affrontare insieme. C’è una povertà culturale e materiale che non possiamo sconfiggere se non uniti. C’è un mare di gente che bussa disperata alle nostre porte. La Chiesa da sempre è disposta, e lo dimostra con i fatti, ad assumersi le proprie responsabilità. La giovane donna coinvolta nel dramma di queste ore la conosciamo, come conosciamo tante altre che vivono la stessa “insopportabile” solitudine. Attraverso il Centro diocesano di aiuto alla vita abbiamo ammirato e accompagnato la sua storia di resistenza coraggiosa ed eroica. La fama di bravo ragazzo del figlio Francesco, già attivo nel volontariato e autista di ambulanze, è segno che anche laddove la morte sembra regnare sovrana, c’è spazio per la speranza. Un giovane che ha lottato insieme alla madre, che si è lasciato irradiare dai piccoli raggi di luce che, attraversando il buio dei mesi di cieca e inspiegabile violenza, hanno illuminato il suo giovane cuore. L’altra notte è crollato ma «lui è un bravo ragazzo»: ripetono in queste ore in città. Lo sappiamo. Lo abbiamo potuto constatare attraverso i racconti della giovane madre le cui sofferenze il ragazzo cercava di alleviare. Tutti avevamo, e abbiamo, il dovere di investire sul bene e la bontà d’animo che nonostante tutto albergavano, e continuano ad albergare, nel cuore di Francesco. Simili tragedie non si evitano col senno del poi, come qualche giornale locale ha scritto, ma coltivando, arando e scavando intorno a quei semi di bene e bontà, sepolti per una notte in fondo al cuore di un giovane, ma destinati a diventare alberi fioriti e fin d’ora segno di resurrezione.

Antonio Pintauro, presidente del Movimento per la Vita di Acerra

È con timore e tremore che mi accosto, ancora oggi, dopo tanti anni di mestiere giornalistico, ai fatti di sangue che coinvolgono genitori e figli. Questa sua lettera dura e bella, caro presidente, mi conferma che la violenza e l’amore che abitano le nostre giornate, gli slanci e le tragedie che ci toccano e ci sfiorano, e in definitiva la vita e la morte di chiunque condivida con noi la fragile e meravigliosa condizione umana meritano tutta la nostra capacità di capire e di compatire. E mi ripetono – queste sue parole su una madre umiliata, un padre perduto e forse mai trovato, su un ragazzo chiamato Francesco e su un crimine e un dolore istantanei eppure lunghi e complessi come una catena – che nessuna umana e necessaria giustizia potrà mai essere davvero adeguata. Le sono grato, gentile e fedele amico, per questo servizio di verità che ci ha fatto, e per il senso pieno che sa dare alla testimonianza e all’azione del Movimento per la vita.
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