sabato 26 novembre 2016
A 57 anni dalla rivoluzione, a due dal disgelo con la Casa Bianca, il “compañero Fidel” si congeda all’età di novant’anni. Ma la Nuova Cuba ancora non è nata.
L'ambigua eredità del «líder máximo»
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Fidel Castro lascia un’eredità densa di ombre e di ambiguità. A cinquantasette anni dalla rivoluzione che spodestò Fulgencio Batista, a due anni dal disgelo annunciato con la Casa Bianca, il “compañero Fidel” si congeda all’età di novant’anni paradossalmente rimuovendo se stesso da quella strettoia che impediva a Cuba di entrare nella modernità. Icona perpetua della resistenza accanita contro il gigante americano per alcuni, dittatore esecrato e spietato per altri, Castro è riuscito a valicare i territori della cronaca politica ponendosi come il protagonista di una leggenda che sembrava non poter aver fine.


Quando i primi sintomi di una malattia invalidante lo costrinsero ad allontanarsi dal potere nel 2007 si pensò che Cuba stesse per oltrepassare l’età della rivoluzione per uscire da quell'orgoglioso isolamento nel quale il regime dei due fratelli Castro l’aveva condannata. Ci sono voluti invece quasi dieci anni perché qualcosa cambiasse davvero: la presenza ingombrante del “lider maximo”, il suo silenzioso condizionamento della vita civile e politica dell’isola mettevano in ombra ogni proposito di cambiamento. Lo stesso Raúl, che sulle prime aveva fatto sperare in una svolta (“el cambio”, profetizzavano i più speranzosi) non andò oltre una vaga concessione verso piccole insignificanti libertà individuali.

Con Fidel in vita Cuba rimaneva – nelle sue eccellenze (come un sistema sanitario di prima classe, invidiato e insuperato in tutta l’America Latina) come nelle sue miserie (le carceri cubani sono sempre state affollate di prigionieri politici e neppure le visite di due papi come Giovanni Paolo II e Francesco avevano allentato la morsa del regime sui dissidenti) – sostanzialmente identica a se stessa. Come il cupo demiurgo immaginato da Gabriel García Márquez nel suo L’autunno del patriarca, Fidel Castro incarnava l’ostinata inamovibilità di un sistema che aveva perduto da molto tempo lo slancio rivoluzionario trasformandosi – mercé anche l’insensato embargo tenuto caparbiamente in vita da Washington - in una fortezza assediata.

Né possiamo al momento prefigurare la nascita di una nuova classe dirigente capace di guidare l’isola caraibica nel mare del consorzio civile delle nazioni: Fidel e Raúl hanno accuratamente provveduto a soffocare sul nascere ogni possibile erede. Con l’uscita di scena del Jefe, si chiude oggi una pagina gloriosa e drammatica, avvilente ed esaltante, ritagliata a tutto tondo nel Novecento e impossibile da perpetuare nel nuovo millennio. Il dopo-Castro è iniziato già da molti anni, ma la Nuova Cuba ancora non è nata. La transizione sarà ancora lunga.



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