giovedì 11 febbraio 2010
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Primato asso-luto di spettatori domenica e lunedì in prima serata su Rai1: forte emozione ha suscitato la fiction «C’era una volta la città dei matti», dedicata alla vita e all’opera di Franco Basaglia. Su quella massa di pubblico e sulla forte emozione bisogna interrogarsi. Il tema è quello dei matti, della follia, dei manicomi, della chiusura dei manicomi, e della rivoluzione di Basaglia, che ha pensato a curarli facendoli vivere nella società. Vedendo il filmato, più volte, nei momenti in cui Basaglia toccava l’acme della rivoluzionarietà, veniva da pensare che non era una rivoluzione teorica, scientifica, tecnica: era una rivoluzione etica. Basaglia si poneva davanti ai pazienti non come un medico, ma come un amico, non armato di scienza, ma di amore. È una soluzione cristiana. Nel vastissimo campo indicato dal principio che dice «aiutare i bisognosi», Basaglia ha individuato i più bisognosi. Il marxismo aveva ragionato sui poveri che sono poveri perché non hanno, i proletari che hanno soltanto la prole. Basaglia lavora in mezzo ai nuovi proletari, a cui la prole vien tolta. C’è una matta alla quale vien tolto il figlio, perché vien fatta abortire. Le viene spiegato, e lei crede, che il figlio è figlio del demonio (non è sposata). È per questo che la ragazza diventa matta. A un certo punto, un matto chiede a Basaglia e a noi tutti: ma è l’essere matti che fa nascere il dolore o è il dolore che fa diventar matti? Il matto non sarà un sovraccaricato di dolore? Il sovraccarico lo fa cadere, e lui cade di là, oltre la ragione. La società è una città assediata: dentro ci vuole ordine e garanzia, l’ordine e la garanzia sono minacciati da due pericoli, la pazzia e la miseria, che molte volte sono un solo pericolo, la miseria, che genera anche la pazzia. I ricchi non hanno matti. I ricchi matti restano dentro la città. I poveri matti vanno espulsi, apparentemente, e dichiaratamente, per la loro salvezza, la loro sicurezza, in realtà (ecco la scoperta di Basaglia) per la nostra sicurezza, la nostra salvezza. Lo spazio isolato e separato in cui devono stare i matti è il manicomio. L’isolamento e la separatezza li rende più matti. Per bloccarli di là, medico e infermieri usano la forza, e diventano carcerieri. «Carcerieri buoni - dice Basaglia - ma pur sempre carcerieri». Crudeli, nel filmato, le scene della doccia gelata, del letto di contenzione, delle scosse elettriche, della gabbia. I matti sono ex-umani, ora animali senza anima. La rivoluzione di Basaglia consiste nello scoprire in quegli esseri l’anima, nel sentirli come uomini, come noi. Se loro sono come noi, noi siamo come loro. A questo i colleghi, l’ospedale, l’università, i tribunali si oppongono: Basaglia è un pericolo sociale, perché non rivede soltanto la psichiatria, ma tutta la medicina, e la famiglia, e la società. La giovane che partorisce un figlio-del-demonio è figlia di una madre che la schiavizza, ma la madre a sua volta ha patito un’altra schiavizzazione. Questa è la catena ereditaria del trauma, che blocca la mente. Basaglia fa una scoperta: la catena del trauma si spezza con l’amore. Mi spingo più avanti, e mi assumo la responsabilità: per salvare il miserabile che muore per la sua miseria, devi essere pronto a morire per lui. Basaglia muore nel lavoro e per il lavoro. I suoi matti lo sentivano. Ce l’avevano con tutto il mondo, ma non con lui.
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