martedì 4 maggio 2010
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Nessuno potrà mai dirci quando si avrà l’agognata pace in Somalia. Basta ripercorrere col pensiero quanto è avvenuto sabato scorso a Mogadiscio: due esplosioni in rapida successione e decine di corpi dilaniati nelle moschee. Una landa colma di dolore, macerie e rancori, un esempio aberrante di violenza senza quartiere, proprio mentre i fedeli erano radunati per la preghiera di mezzogiorno. E sullo sfondo le solite menzogne, il prezzo grave degli interessi delle opposte fazioni. Da quel lontano gennaio del 1991, quando venne rovesciato il regime dell’ex dittatore Siad Barre, la questione è sempre la stessa, un dramma che continua a svolgersi senza posa. Stavolta, comunque, come peraltro riconosciuto dalle stesse autorità governative, s’è trattato di un «atto tra i più barbari mai commessi nel Paese». È stata presa di mira la moschea di Abdalla Shideye, nella zona del mercato di Bakara, dal cui pulpito gli estremisti shabaab hanno lanciato in questi mesi invettive contro il debole governo di transizione somalo, invocando la "guerra santa".Secondo uno dei loro leader, Ali Mohamad Rage, l’attentato alla moschea «è un’azione terroristica perpetrata da mercenari al soldo del governo somalo». Sul versante opposto, fonti vicine al governo ritengono invece che la strage sia il frutto di una guerra tra fazioni, tutta interna ai gruppi ribelli. Comunque, poco importa che si tratti di al-Shabaab o del gruppo degli Hizbul Islam, per non parlare di certi reparti filogovernativi dal grilletto facile: la parola d’ordine è ammazzare sempre e comunque chiunque capiti a tiro. In questo inferno di dolore, dove oltre tre milioni di somali sopravvivono in condizioni subumane, la comunità internazionale non può stare alla finestra.È vero che in questi anni le cancellerie di mezzo mondo hanno tentato di fare del loro meglio per affermare lo "stato di diritto", a volte divergendo nelle soluzioni politiche e comunque collezionando una lunga serie di fiaschi. Sta di fatto che è inaccettabile quanto sta avvenendo in Somalia. Anzitutto perché è un Paese dove si sta consumando la peggiore crisi umanitaria su scala planetaria. Inoltre c’è da considerare che stiamo parlando di un territorio sensibile, linea di faglia fra il mondo arabo e quello africano e più in generale tra Oriente e Occidente. I rapporti dell’intelligence statunitense da tempo riferiscono di campi di addestramento per terroristi islamici legati ad al-Qaeda. Proprio per questo Washington sta aiutando Mogadiscio con cospicui finanziamenti, osservando con crescente preoccupazione ciò che accade non solo sul territorio somalo.Ma la soluzione, prima che a Mogadiscio, va ricercata in sede internazionale. A parte la cronica litigiosità clanica propria di alcune componenti della società somala e le ripercussioni della "guerra fredda" tra Etiopia ed Eritrea che sostengono, più o meno indirettamente, gli opposti schieramenti somali, vi sono interessi stranieri. A partire dalla vicina penisola arabica, dove certi governi foraggiano, dietro le quinte, gli estremisti somali, e sono molti a gettare benzina sul fuoco. Il business delle armi dai Paesi dell’Est la dice lunga. E che dire del petrolio, del gas e dell’uranio presenti nel sottosuolo? Non si tratta di una mera ipotesi geologica, essendo tutto documentato in corposi dossier di imprese americane, cinesi e russe, per non parlare degli accurati studi commissionati dalla Banca Mondiale. Ma al di là di tutto, c’è da considerare che in Somalia la popolazione è ridotta allo stremo, sempre più insofferente nei confronti degli al-Shabaab che applicano la legge islamica nei territori da loro controllati. Una questione che non può più lasciare indifferenti i Paesi occidentali
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