sabato 18 febbraio 2012
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Entro due o tre settimane, lo hanno annunciato i segretari delle tre forze politiche che sostengono il governo dei tecnici, sarà presentato un progetto unitario di riforme costituzionali che riguarderà la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto, la sfiducia costruttiva, il potere di nomina e di revoca dei ministri affidato al presidente del Consiglio, i poteri delle Regioni e delle Province autonome. L’agenda è assai impegnativa, corrisponde alle esigenze di rinnovamento delle istituzioni e ad almeno un’attesa forte dell’opinione pubblica (il taglio ai numeri di Camera e Senato) e comprende temi che a più riprese si è cercato di affrontare da parte delle diverse maggioranze che si sono avvicendate al governo, senza mai raggiungere l’obiettivo. La novità è che la maggioranza attuale ha caratteri diversi da quelle precedenti, comprende ambedue le formazioni su cui si erano incardinate le grandi coalizioni alternative che si sono affrontate alle ultime elezioni e l’Udc che aveva affrontato la prova in solitudine. Si è arrivati a questo impegno comune superando vari ostacoli, che è bene ricordare. La prima difficoltà è costituita dal timore dei maggiori partiti di perdere il proprio carattere alternativo in una confluenza sulle proposte di riforma istituzionale. Si tratta di una preoccupazione non infondata, il che rende più lodevole la capacità di superarla, ma appunto non insuperabile. Su che cosa ci si può intendere tra avversari chiari e leali se non sul far prevalere su un vero o presunto interesse di partito l’urgenza di fornire allo Stato strumenti di funzionamento moderni ed efficienti, in grado di agire con la tempestività indispensabile in una fase così convulsa della vita economica e delle relazioni internazionali? L’altro ostacolo che si era frapposto era la diversa percezione della priorità tra le riforme costituzionali e quella elettorale. Anche qui è prevalsa la considerazione di buon senso sull’esigenza di incardinare al più presto quelle istituzionali, che hanno un iter più lungo e complesso, mentre quella elettorale, che si può approvare a maggioranza semplice, verrà esaminata nella fase intermedia tra le prime e le ultime due letture delle riforme costituzionali. Naturalmente non tutti credono alla possibilità che questa sia la volta buona, le diffidenze all’interno dei partiti e tra di essi non sono cessate d’incanto, gli ostacoli sul percorso sono ancora numerosi. Però è giusto stare alla parola di Angelino Alfano, di Pierluigi Bersani e di Pier Ferdinando Casini, che si sono assunti la responsabilità di costruire il percorso unitario di riforma e che sembrano intenzionati a difenderlo all’interno dei loro partiti e in Parlamento. La riforma politica, che spetta alle forze parlamentari, è altrettanto urgente e importante di quella economica, che è stata demandata a un governo di buona volontà in dialogo con i partiti ma “indipendente” da essi. Rappresenta anche il terreno sul quale le rappresentanze elettive possono e debbono esercitare la funzione che è stata attribuita loro dagli elettori, insieme a quelle di esercitare il governo e l’opposizione, cui hanno dovuto rinunciare. Sono passati tre mesi da quando si è passati a questa nuova fase politica, si può pensare che siano stati troppi per raggiungere un’intesa preliminare, visto che il fattore tempo, soprattutto per le riforme costituzionali, non è illimitato. Se però si tiene conto degli ostacoli oggettivi e psicologici che era necessario rimuovere e della delicatezza della materia, si può pensare che i tre mesi non siano stati spesi invano, a patto che d’ora in poi si proceda in modo tanto spedito e quanto convincente, senza esclusivismi e, dunque, coinvolgendo le altre forze politiche ma senza subire manovre puramente dilatorie.
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