Accanto a Roberto che è andato a morire
giovedì 4 marzo 2021

Roberto ha lasciato la sua Sardegna. Un viaggio mesto, lungo, faticoso lo ha portato in Svizzera: il suo ultimo viaggio, perché Roberto è andato a morire. L’ha voluto lui, con lucida determinazione. Ha solo 34 anni, questo giovane sardo che da un anno soffre di Sclerosi laterale amiotrofica. Deve essere stato terribile, per lui, come per tutti coloro che si sono ritrovati nella stessa condizione, assistere all’avanzare della malattia.

Non ce l’ha fatta, Roberto e si è arreso. Contro il parere dei genitori che erano amorevolmente disponibili a condividere con lui il dolore, le angosce, le speranze e le sconfitte che la nuova vita gli andava prospettando. La mamma ha voluto accompagnarlo, insieme alla fidanzata e al fratello, in quello che lui chiamava il «viaggio della salvezza»; il papà, no, non ce l’ha fatta, è rimasto a casa. A Roberto, alla sua famiglia, vogliamo esprimere la nostra vicinanza, il nostro affetto, ma, soprattutto, assicurare la nostra preghiera. Ci viene da piangere. Accompagnare un figlio morto al camposanto è tra le esperienze più dolorose che può sopportare un essere umano; accompagnarlo, vivo, verso la morte deve essere a dir poco devastante.

Come devastante deve essere la notizia per chi sta combattendo contro lo stesso morbo, per tentare di strappare alla vita ancora qualche anno, qualche abbraccio, qualche sorriso. E devastante è anche per chi crede che la vita è sua e non è sua, gli appartiene e non gli appartiene, perché l’uomo, ogni uomo, è un essere in relazione.

Le domande di sempre, che questo nostro tempo, per certi aspetti, scettico e distratto, sembra volere accantonare, in momenti come questi, prepotentemente, rialzano la voce. Il discorso sull’eutanasia, sul suicidio assistito, sull’aborto, va al di là delle convinzioni personali o ideologiche, e coinvolge l’intera società civile. Mi rendo conto che una cosa è essere presenti a se stessi, organizzare e gestire le proprie giornate, altra cosa è assistere al decadimento del proprio corpo che più non obbedisce ai tuoi comandi. Nessuno oggi osa giudicare nessuno. A Roberto e alla sua famiglia un grande abbraccio. Senza smettere, però, di continuare a scrutare il grande mistero della vita, oltre ogni paura, per tentare di capire quanto ancora rimane da capire dopo secoli di riflessioni filosofiche e teologiche.

La drastica decisione di voler morire, presa da un fratello ammalato, non può non coinvolgerci. Sarebbe impensabile il contrario. Al di là di ogni motivazione personale, nella quale non ci permettiamo di entrare, o ideologica e politica, e, finanche morale e religiosa, ci chiediamo con grande serietà se per le persone affette da Sla, in Italia, si sia fatto tutto, ma proprio tutto, per rendere meno penose le loro giornate; e se si stia facendo tutto per insegnare, implementare, condividere a tutti i livelli la cultura della vita, anche e soprattutto di fronte alla sofferenza e alla vita nascente. Una cosa è certa, occorre evitare di ricorrere al lugubre ritornello che la sofferenza renderebbe queste vite 'non dignitose'.

Non degna di essere vissuta la vita sofferente? Al contrario. Purtroppo, il dolore, il non senso, la depressione, i tanti limiti e povertà cui sono soggetti gli uomini, riescono sempre a trovare la strada per intrufolarsi in questa nostra stupenda e fragilissima umanità. E quando vengono a bussare alla nostra porta ci rendiamo conto di quanto siano nemici cinici e impietosi. Inizia allora la battaglia – doverosa e giusta – per mandarli via, sconfiggerli, o, almeno, renderli meno aggressivi e velenosi. Sono battaglie dure, lunghe, snervanti, benedette, che, però, riescono anche a farci riflettere su tanti aspetti della vita sui quali, in genere, si sorvola. È in momenti come questi che l’uomo scopre la propria e l’altrui fragilità, la bellezza e l’importanza della solidarietà e dell’educazione alla pietà.

È in questi momenti che si apprezza di più la vicinanza degli amici e della comunità, l’abnegazione e la fatica del personale ospedaliero o di chi, nel chiuso di tanti laboratori sparsi per il mondo, studia, suda, scopre. È vero, la malattia, ogni grave malattia, ti porta via tante opportunità, ma ti dona anche uno sguardo più limpido e profondo che forse non sapevi di avere. Il dolore umano è e rimarrà sempre il nodo con cui deve fare i conti l’uomo di ogni tempo, ateo o credente che sia. Combatterlo in ogni modo, con serietà e onestà; mettere l’ammalato al centro, prima di ogni interesse economico, ideologico o politico; resistere alla tentazione di ogni funerea rassegnazione, è il meglio che tutti possiamo fare.

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