martedì 30 marzo 2010
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Caro direttore,quanto dolore. Ero incerta se scrivere, ma l’editoriale di don Maurizio Patriciello del 27 marzo mi ha spinto a farlo. Anch’io, come tanti, pare, ho subito abusi (non violenza) da bambina. No, non da un prete, né da un familiare. Un conoscente, di cui avevo grande fiducia. Sposatissimo con una donna bellissima. Era colto, elegante, affascinante, era un artista. Mi sentivo quasi onorata delle sue attenzioni verso di me che ero una bambina povera e insignificante, appena uscita da un orfanotrofio del profondo Sud. Ho taciuto per tre decenni e il male, a mia insaputa, aveva lavorato dentro di me, complice il mio silenzio. Un giorno, ormai adulta, mi trovai in una «parrocchia povera di una povera periferia campana». Chiesi del sacerdote e in confessione trovai finalmente il coraggio di parlare di questa mia esperienza, oltre che dei miei peccati. Lo feci con foga, con tutta la commozione che avevo trattenuto dentro. Lo strattonai perfino, il sacerdote, chiedendogli di ascoltarmi non soltanto con le orecchie. Pretesi un’attenzione totale, stavo male. Mi sentivo bisognosa, non di pane, ma di autostima, avevo bisogno di trovare me stessa. Ricordo ancora lo sguardo del sacerdote su di me e due sole parole: «Povera figlia». Quelle due semplici parole, misteriosamente, arrivarono a me come provenienti da un Altro, da un Altrove. Potenza del sacramento? Credo di sì. Pian piano ho trovato pace e fiducia in me e negli altri, mentre paure e senso di orfanitudine andavano via. Perché sì, mi sono finalmente sentita figlia amata e stimata. Questo è stato il più bello e sorprendente risarcimento, non limitato a quel momento, ma che ancora dura nel tempo. Testimonio questo perché non posso tacere ciò che ho sperimentato e ancora sperimento nella fede del Signore. Se le chiedo l’anonimato, nel caso pubblicasse questa mia, è solo per salvaguardare persone che non sanno, né è necessario che sappiano dopo tanti anni e dal momento che la persona in questione non c’è più. E poi Qualcuno ha provveduto a risarcirmi con sovrabbondanza di quanto m’era stato tolto. Ho perdonato.

Lettera firmata

Le sue parole, cara amica, toccano e lasciano il segno. Un segno forte e buono. Non oso aggiungere altro che un sommesso, commosso "grazie" per averle condivise con tutti noi.
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