martedì 9 ottobre 2012
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​Caro direttore,
rispondo con piacere alla lettera della gentile dottoressa Diegoli pubblicata su "Avvenire". Le problematiche evidenziate, soprattutto in relazione a quanto la sanità faccia in Italia «per preferire la nascita», sono di grande rilievo. Il numero delle interruzioni volontarie della gravidanza è in costante diminuzione, come risulta dai dati contenuti nella Relazione sull’attuazione della legge n. 194, che presenterò nelle prossime ore al Parlamento. Nel corso degli anni è andato crescendo il numero delle donne con cittadinanza estera che fanno ricorso all’aborto, raggiungendo nel 2010 un terzo del totale mentre nel 1998 tale rapporto era di un caso su dieci; anche questa tendenza inizia, però, a mostrare un rallentamento. Non c’è dubbio che la prevenzione sia ancora da potenziare. Al riguardo, il Comitato nazionale di bioetica, in un documento del 2005, ha messo in luce i diversi aspetti da consideare: «L’aiuto alla donna in gravidanza esige profili di intervento diversi e complementari, che coinvolgono dimensioni educative, psicologiche, sanitarie e sociali». I contesti che portano all’interruzione della gravidanza devono essere valutati a tutti i livelli, a cominciare da quello istituzionale e pubblico, per proseguire con quello, assai meritorio, dell’associazionismo, soprattutto quando ci troviamo in presenza di una famiglia di debole condizione economica con già tre o quattro figli che, inaspettatamente, si trova a dover far fronte al nuovo arrivo. Sono situazioni complesse, ma non sempre senza via d’uscita, che richiedono concreta accoglienza e sostegno. Spesso la solitudine è la cosa più terribile e, in questa prospettiva, diviene decisivo l’apporto che i consultori, insieme al Terzo Settore e al volontariato, possono fornire a queste famiglie. Devo ammettere che i consultori familiari non sono stati sufficientemente potenziati né adeguatamente valorizzati, soprattutto in alcune aree del Paese. In diversi casi l’interesse intorno al loro operato è stato scarso. Quella dei consultori resta così una sfida che si deve vincere, realizzando una vera rete di protezione e di aiuto nei confronti delle donne che si trovano ad affrontare una gravidanza difficile. Ma dobbiamo trovare il modo di mettere in rete i consultori familiari insieme con gli altri servizi, sia sanitari che socio-assistenziali, degli enti locali, del Terzo Settore e del volontariato. Senza il binomio sussidiarietà-solidarietà non si vincono sfide così impegnative.
Renato Balduzzi - Ministro della Salute
Esattamente un mese fa abbiamo pubblicato la bella lettera-testimonianza di Antonella Diegoli dedicata ai bambini che potevano non nascere e che invece – grazie a Dio e al «Pronto soccorso emozionale» garantito dagli uomini e alle donne del Centro di aiuto alla vita di Finale Emilia – sono nati in una delle realtà più duramente colpite dal recente terremoto. Lettera, caro ministro Balduzzi, che la chiamava in causa in modo diretto segnalando la necessità di garantire un accesso semplice e diretto al sostegno "per la vita" delle madri che meditano l’aborto. Mi fa piacere che lei ne sia stato colpito e che non abbia dimenticato quell’appello. Ritengo anche importanti e condivisibili le affermazioni di principio che qui accanto lei richiama, così come apprezzo l’onesta (eppure così raramente udita) ammissione di «insufficienza» dei consultori così come sono oggi organizzati in particolar modo «in alcune aree del Paese». Quanto all’idea di «mettere in rete i consultori familiari insieme con gli altri servizi, sia sanitari che socio-assistenziali, degli enti locali, del Terzo Settore e del volontariato», mi sembra la via maestra potenzialmente capace di spianare ostacoli e veri e propri muri alzati ostinatamente contro le iniziative tese a non lasciare sole le donne in difficoltà (morali e materiali) nel vivere l’attesa di un bambino e a consentire loro di «preferire la nascita» alla morte del piccolo. Mi auguro che lei riesca a impostare da subito politiche orientate in questa degna direzione. E che nessuna norma in via di definizione – come purtroppo qualche indizio lascia temere – finisca invece per andare in senso opposto, favorendo pratiche abortive consumate nella solitudine, magari proprio sull’ultima frontiera della banalizzazione della tragedia-aborto, il cosiddetto «aborto chimico» procurato (con rischi documentati eppure sottaciuti) dalla Ru486 e da altre pillole. Leggeremo in tanti, e con ulteriore preoccupato interesse, il nuovo rapporto al Parlamento sull’applicazione della 194 anche alla luce dell’anticipazione sul «rallentamento» della diminuzione degli aborti (ognuno uno di troppo...) che ogni anno vengono procurati nel nostro Paese.
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