sabato 11 settembre 2010
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È passato un anno da quando Avvenire pubblicò il nostro grido di trionfo: «Ce l’abbiamo fatta. Ancora una volta ce l’abbiamo fatta. Tra qualche mese Stefania farà il suo trionfale ingresso sul palcoscenico della vita. Stavano per buttarla via. I genitori, poveri, impauriti, al pensiero di un’altra bocca da sfamare, erano andati in panico perdendo la speranza…».Stefania (il nome è fittizio) è, invece, nata portando gioia a tutti. La parrocchia ha mantenuto la promessa fatta. Ogni mese ai genitori è stata consegnato un discreto aiuto per aiutarla a crescere. Stefania, bimba di pochi mesi, è bella, è stupenda, è viva.Ieri terminava il nostro impegno. Intanto altre donne, almeno quattro, stanno portando avanti la gravidanza sostenute dalla parrocchia. Piccole cose, non siamo avvezzi a pensare in grande. Innanzitutto una presenza. «Occorre fare strada ai poveri – diceva don Milani – e non farsi fare strada dai poveri». La tentazione di strumentalizzare i poveri è forte per chiunque. I poveri: chi sono costoro? Con essi al seguito e sulle labbra si fa sempre bella figura. Ma a lungo andare pesano, ti coinvolgono. I poveri non sono sempre amabili, non sempre sanno dire grazie. A volte sono i primi che ti si rivoltano contro. I primi – e qui sta la loro più grande povertà – che permettono a chi li opprime (siano essi camorristi o politici corrotti e negligenti) di continuare a solcargli il dorso. Eppure essi sono l’immenso patrimonio della Chiesa e dell’umanità. Abbiamo bisogno dei poveri come dell’aria. Abbiamo bisogno della gioia che sanno sprigionare per le piccole cose; della speranza che li tiene in vita nel credere sempre che il futuro sarà migliore del presente. Addirittura abbiamo bisogno… della loro gioiosa incoscienza.Un anno fa una giovane coppia, povera, si lasciò convincere da un prete e sbocciò una vita. Ma sono disoccupati e chiedono solo di poter lavorare per continuare a fare serenamente i genitori. Nei nostri quartieri di periferia, a volerlo, nessuno muore di fame. Chiunque, quando l’acqua giunge alla gola, può ricorrere ad un’industria che non conosce crisi e che va sotto il triste nome di camorra. La camorra, sentinella attenta e sempre allerta, mai lascia incustodito il territorio. Conosce uomini e cose, bisogni e miserie. Sa come e quando colpire. I suoi scagnozzi – avvoltoi sempre in agguato – hanno avuto in dono in sommo grado la virtù della pazienza. Sanno che chi oggi gli ha detto no, tornerà quando sarà fiaccato dal freddo e dalla fame.La grande maledizione di tutti i tempi non è la povertà economica, ma l’egoismo. Di egoismo si muore. L’egoista è un uomo al quale non interessa l’altro, non interessa migliorare la società, l’ambiente. Anche se ha vent’anni, l’egoista è vecchio, senza speranza, pessimista. In genere è anche tirchio. Tirchio di tutto: di soldi, di affetto, di tempo, di idee. Non cerca, non scava, non si impegna. Aspetta che altri lo facciano per lui. L’egoista invecchia e porta a morte la società. La denatalità, in Italia e in Europa, a ben guardare è la figlia naturale dell’egoismo.Le provocazioni di Gheddafi, nei giorni scorsi, a Roma, infastidiscono – e non poco – ma non sono campate in aria. Non credo che gli europei diverranno musulmani in massa. Il cristianesimo, anche nella sua versione "laica", li ha troppo innamorati della libertà e della dignità della persona umana, perché essi abbraccino l’islam. Credo, invece – ma non è mistero per nessuno – che se non si invertirà la rotta di tanti ad essere meno egoisti e ad amare la vita nascente, saranno i tanti figli dei fratelli islamici ad occupare la vecchia, cara Europa cristiana.Non più il figlio unico a 53 o 54 anni, ma un amore sviscerato per la vita: in questi i poveri potrebbero farci da maestri. Opportunamente aiutati oggi, essi possono dare alla nostra patria e all’Europa un contributo enorme.
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