martedì 9 aprile 2013
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Gentile direttore,
ho letto sul "Corriere della Sera" di oggi (ieri, ndr) l’editoriale «Una periferica appartenenza» dedicato al «declino» di ruolo della Chiesa e degli ecclesiastici italiani. E mi domando: perché Ernesto Galli della Loggia non ha scritto questo su "Avvenire", dove spesso collabora? Temo che tra di noi non ci sia libertà di opinione, e allora – per dire certe cose – occorre cercare spazio altrove. Dico bene? Ah, ben vengano anche le opinioni di Piero Ostellino per aiutarci a moderare certi entusiasmi adolescenziali per l’elezione di Papa Francesco. Suvvia, preghiamo per il Papa, perché gli sia facile comprendere dove e a ché Dio l’ha voluto.
Giovan​ni Case
 
Mettiamo prima di tutto in ordine le cose, gentile signor Case. Il professor Ernesto Galli della Loggia è collaboratore del "Corriere della Sera" non di "Avvenire", proprio come Piero Ostellino, che del grande giornale di Via Solferino è stato anche direttore. Le loro opinioni a volte coincidono con le nostre e a volte no. In certi casi, anzi, esercitiamo sguardi assai diversi sulla realtà – civile o ecclesiale – del nostro Paese e, quando questo accade, non ne nasce un dramma, ma a volte – se il tema lo merita – una sempre garbata polemica. Stiamo infatti parlando di interlocutori seri, di portatori di idee chiare e interessanti, di persone aperte al dialogo. Un po’ come cerchiamo di essere anche noi. Per questo, ogni tanto, li abbiamo intervistati o abbiamo ripreso (come del resto fa il "Corriere" con le opinioni delle nostre firme) alcune loro riflessioni più efficaci e significative. Chiarito questo, gentile lettore, vengo al punto: su questo giornale di dichiarata di ispirazione cattolica lei non legge editoriali come quello che Galli della Loggia ha dedicato a un presunto «declino» di ruolo della Chiesa italiana e degli ecclesiastici di origine italiana perché pensiamo che sia un’analisi non condivisibile, che nasce da una visione della Chiesa cattolica diversa dalla nostra e forse anche – ne so troppo poco dei percorsi personali e spirituali del professore per azzardarmi ad andare oltre il "forse" – da una non-esperienza di ciò che sta al centro della vita della Chiesa italiana nelle sue mille vitali e complicate "periferie" (in questo senso, viva l’essere periferici...) e nella sua diffusa e spesso straordinaria consapevolezza di partecipare – per grazia di Dio, intelligenza di tanti suoi figli, e lascito della storia – in modo senza eguali alla Chiesa universale. Questo non vuol dire che pensiamo e sosteniamo che non esistano problemi, vuol dire che per valutare e raccontare quelli che incontra la Chiesa usiamo lo stesso sereno e rigoroso metro che impieghiamo per qualunque fatto che merita cronaca e commento, e un po’ di consapevole amore in più. Papa Francesco direbbe, con la sua diretta forza comunicativa, «senza arrenderci mai al pessimismo». Questo vale, a maggior ragione, per i sorprendenti ragionamenti di Ostellino in un articolo come al solito niente affatto banale eppure, per me, sbagliato in qualche dettaglio e nella sua tesi di fondo, cioè il timore che il «pauperismo» e il «terzomondismo» del nuovo Vescovo di Roma possano contagiare in modo pericoloso la politica italiana. Mi verrebbe da esclamare: magari! Perché da laico e credente cittadino di questo Paese avrei voluto da sempre un’Italia capace di farsi, per sé e per gli altri, "motore" politico ed economico di un modello basato sull’essenziale e sensato uso delle risorse naturali e sulla valorizzazione delle persone, per uno sviluppo dal volto umano, frutto di lavoro e collaborazione e mai di brusco sfruttamento e di rapina. Anche qui, com’è già stato notato sulle nostre pagine da Gianni Gennari e da Pier Giorgio Liverani, si può parlare non a sproposito di una questione di amore. Con chi prova a seguire Cristo è impossibile non arrivare lì. Anche per questo «preghiamo per il Papa», perché per il successore di Pietro, al quale tutti guardiamo e nel quale confidiamo, nulla è mai facile.
Infine, signor Giovanni, mi permetta un sorriso sulle immagini che le sono care. Delle due, l’una: o siamo senescenti in declino o siamo adolescenti entusiasti. Non la convincerò, ma io penso spesso che, coi suoi duemila anni di cammino alle spalle, questa nostra Chiesa sia chiamata a essere in ogni tempo dell’uomo e sotto lo sguardo eterno e misericordioso di Dio come una saggia e coraggiosa adolescente: custode della verità, fedele all’amore, felice della bellezza e capace della speranza.
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