mercoledì 12 dicembre 2012
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Comunemente si pensa che a scuola i docenti insegnino e gli studenti imparino. Maestri e professori sanno però che spesso sono loro a imparare dai propri allievi. I ragazzi ci sorprendono, ci stupiscono, mettono in crisi le nostre pigre certezze, ci spingono ad andare all’essenziale, perché essenziali sono le domande che ci pongono: domande di vicinanza, di attenzione e anche domande di senso, di verità. Se questo vale in generale, quest’anno per me vale ancora di più.Da insegnante, sto infatti facendo un’esperienza particolare, quella della 'scuola in ospedale'. È una realtà poco conosciuta, ma molto importante, un piccolo esempio di Stato sociale che funziona, anche se queste scuole, in tempi di spesa pubblica da ridurre a ogni costo, tutti gli anni sono a rischio di ridimensionamento, se non di chiusura. Sono decine le sezioni ospedaliere presenti in tutta Italia, nei maggiori nosocomi dove si trovano ragazzi in età scolare: elementari, medie e superiori, pensate e organizzate, spesso all’inizio da gruppi pionieristici di docenti volontari, per garantire anche a chi si trova ad affrontare una lunga malattia quel diritto all’istruzione stabilito dalla nostra Carta costituzionale. Insegno in un liceo scientifico che opera in un reparto di Ematologia pediatrica di un policlinico. I miei studenti sono ragazzi in cura per tumori del sangue e leucemie. Fare scuola significa offrire loro una prospettiva di normalità. Anche quando sai che la patologia è grave e che in molti casi l’esito potrebbe essere infausto.È un’esperienza insieme dura e bella, in cui sei chiamato a mettere in gioco, più che la tua preparazione culturale e la tua abilità didattica, la tua capacità di empatia, possibilmente tenendo a bada l’emotività. Lì vivi quotidianamente la dimensione dell’attesa, propria di questo tempo di Avvento. È innanzitutto l’attesa della guarigione, l’obiettivo ultimo per cui si è in ospedale, e fortunatamente le terapie oggi disponibili offrono buone chance anche per situazioni che sino a pochi anni fa sarebbero state ritenute disperate. Ma può anche essere, più modestamente, l’attesa della dimissione, perché, quando sei ricoverato da mesi, poter tornare a casa anche solo una settimana è un grande regalo.È l’attesa, per la notte del 24, di quel medico che, come ogni anno, si travestirà da Babbo Natale per portare qualche dono a chi purtroppo sarà ancora in corsia: anche i più piccoli non si faranno ingannare, lo riconosceranno subito, ma proprio per questo si rallegreranno ancora di più di quel momento di gioia semplice e di affetto gratuito. Dicevo che sto imparando molto. E mi sembra di aver capito soprattutto una cosa: che quella luce del Natale che attendiamo è già qui. È nel mistero doloroso della sofferenza. Realtà terribile vedere bambini e adolescenti segnati nel corpo dagli effetti collaterali delle chemioterapie, qualcosa che può mettere in crisi la più solida delle fedi. Ma poi capisci che è proprio lì il luogo, l’esperienza dove si coglie la necessità di un Oltre che solo è in grado di offrire un senso (parlo di un senso razionale, non ciecamente fideistico) alle nostre esistenze.È nel mistero gaudioso di una condivisione tra i ragazzi e tra i genitori, che spesso stanno in reparto ventiquattr’ore su ventiquattro, magari trascurando il lavoro e persino gli altri figli, ma costruendo nuove relazioni, relazioni autentiche, al di là delle differenze di cultura, professione, estrazione sociale, etnia, perché nate in un momento in cui le cose che contano sono altre. È nella dedizione, spesso davvero eroica, degli operatori sanitari, i quali sanno che l’efficacia del loro lavoro non dipende soltanto dalla competenza tecnico-scientifica, ma, per larga parte, dalla loro umanità. È nel mistero glorioso di tante guarigioni, fisiche o spirituali, un mistero che assorbe in sé anche i dubbi, le paure, i momenti di oscurità propri della nostra umanità quando viene messa alla prova in maniera così drammatica. Spero di riuscire a mettere a frutto nella mia vita anche solo una piccola parte di quanto sto imparando.
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