martedì 14 agosto 2018
Far convivere tutela delle spiagge e folla vacanzieri. Il sindaco vuol sostituire la strada con una rete di passerelle. E sempre più gli stessi turisti hanno comportamenti virtuosi
La via di Stintino: ambiente e turismo responsabile
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Lo chiamavano Mandrake, per quel suo magico sinistro. Negli anni Settanta si attovagliava coi Moratti a Stintino. Ogni agosto, infatti, l’hotel Roccaruja diventava il quartier generale della “grande” Inter e Mariolino Corso era l’ospite fisso. Donna Erminia stravedeva per quel genio ribelle, la qual cosa avvelenava non poco Helenio Herrera, che a Stintino non mise piede. «Io invece ho comprato casa, come hanno fatto Suarez e altri calciatori; poi l’ho venduta ma ci torno ogni estate e devo dire che non è cambiata. Stintino ha conservato un certo stile»: il tempo scorre lento per Mario Corso, che continua a frequentare il bar La Piazzetta, sul porticciolo.

Questo era il regno dell’estate vippaiola quando i soldi facevano la differenza tra signori e cafoni. “Noi non siamo Porto Rotondo” è la frase che senti ripetere dagli stintinesi e non si capisce dove finisca il rimpianto e inizi l’orgoglio. L’unico vero eccesso degli anni ruggenti fu proprio il Roccaruja, un mostro di cemento costruito letteralmente sulla battigia. Nulla a che vedere con lo “stile” Billionaire, per quanto anche i Moratti usassero parcheggiare lo yacht davanti alla spiaggia della Pelosa: «Era un albergo galleggiante – ricorda Mariolino – dove andavamo a prendere il sole. La giornata si concludeva immancabilmente con grandi tavolate al ristorante di Capo Falcone; c’era la voglia di far festa ma restava tutto entro una dimensione famigliare. Anche perché Stintino si presta magnificamente, con le sue spiagge di sabbia fine, a un turismo famigliare e di relax. Sempre che non si parli della Pelosa... ».

Già, perché oggi la spiaggia più famosa del Sassarese è diventata la pietra dello scandalo, icona del turismo insostenibile. Il campione conferma: “I vecchi villeggianti, perché Stintino ha ancora un turismo di habitué, vanno al Gabbiano dove ci si conosce tutti, mentre i turisti di un giorno solo invadono la Pelosa alle 7 e ripartono a sera, senza neanche passare dal paese”. La nomea di spiaggia caraibica, sabbia finissima e acqua cristallina, ha corso ben più veloce dell’allarme naturalistico: di metro in metro, di anno in anno, la spiaggia è stata fagocitata dal mare senza che le dune, che si trovano alle spalle della strada costiera, potessero provvedere al ripascimento. Da qualche anno, gli stintinesi, per i quali il turismo è l’unica fonte di reddito – i pescatori sono rimasti dieci ed è persino difficile trovare pesce fresco... –, si sono risolti a dire basta. Per salvare il salvabile è stato vietato stendersi sull’arenile con l’asciugamano, se non si è provvisti di una stuoia che impedisca l’asportazione dei preziosi granelli: divieto che, oltre a quello di fumare al di fuori di spazi appositi, viene fatto rispettare dalla Compagnia Barracellare, la guardia civile nata nel XVI secolo per combattere l’abigeato.

Queste contromisure non hanno disincentivato i day tripper – ogni giorno, 5.000 persone affollano un arenile che ne potrebbe ospitare 1.500 – ma li hanno sensibilizzati. Finora, è stata elevata una sola multa e quando cala il sole si formano lunghe file ai lavapiedi: «È sorprendente osservare come, quando si informa l’utente e si procede in modo condiviso, la gente ti segue – attesta Donatella Spano, assessore regionale all’ambiente –. A Stintino il turista ha interiorizzato il concetto di gestione sostenibile di un bene comune, attuando un comportamento virtuoso che riconosce l’esistenza di un capitale naturale che è di proprietà comune e che tutti dobbiamo difendere».

La Regione monitora costantemente lo stato delle coste e sta investendo sulla tutela del paesaggio – tra l’altro certificando tutti i centri di educazione alla sostenibilità sorti in questi anni – perché, aggiunge la Spano, «in Sardegna l’ambiente è un attrattore turistico, nel senso che il visitatore sceglie la nostra isola anche perché si aspetta di trovarvi una natura incontaminata e puntualmente difesa delle istituzioni, come effettivamente avviene». La situazione delle 271 spiagge dell’isola, che si estendono su 575 chilometri di costa, del resto, non è preoccupante, anche se siti come Pelosa/Pelosetta e Is Aruttas sono classificati come “alta criticità” in quanto l’impatto del turismo e la mancanza di fonti di ripascimento naturale provocano «un significativo e progressivo avanzamento della linea di riva», come recita l’ultimo report.

La coscienza ambientale si fa strada anche tra gli amministratori. Antonio Diana, ad esempio, è l’unico sindaco d’Italia che lavora per smantellare una strada e non per costruirla. La battaglia dura da vent’anni e il traguardo finale è inserire il territorio di Stintino nel parco nazionale dell’Asinara, che è mèta ogni anno di migliaia di turisti. Grazie a un finanziamento di 9 milioni di euro ricevuto dalla Regione autonoma, il Comune distruggerà la strada della Pelosa e la sostituirà con una rete di passerelle, che in futuro, anticipa la Spano, potrebbe servire anche le altre spiagge stintinesi.

Le passerelle di legno, diversamente dall’asfalto, permettono al vento di alimentare le dune e alle dune di fare lo stesso con la spiaggia. «Abbiamo tutte le autorizzazioni necessarie, stiamo procedendo agli espropri» annuncia il primo cittadino, che su questo progetto non ha incontrato alcuna opposizione, perché i proprietari dei fondi rinunceranno a qualche metro quadro di terra ma vedranno salire di molto il valore del loro immobile, soprattutto se l’area sarà inglobata nel parco. «In agosto entrano nel territorio comunale 14.000 autovetture che si fermano in prossimità delle spiagge, sei chilometri di rara bellezza ma anche di delicatissimi equilibri ambientali. Il nostro futuro è dunque cercare un turismo di alto livello che cerca relax e natura – spiega il sindaco –. Ci stiamo preparando da tempo: abbiamo costruito un depuratore che permette anche un importante risparmio idrico, contribuiamo alla rete metropolitana di Sassari e soprattutto lavoriamo sul porto, per dotarlo di nuovi servizi. Non pensiamo ad ampliarlo».

Chiosa non casuale. La storia sarda è costellata di scempi ambientali provocati dall’ampliamento di un porto. Avvenne a Cagliari. «Tutto iniziò da una “pretesa” erosione del Poetto – ricorda la vicepresidente di Italia Nostra, Paola Morittu, la quale contesta alla Giunta Pigliaru di sostenere una legge urbanistica che renderà possibile costruire entro 300 metri dalla costa –. Quella cagliaritana era spiaggia eolica che cambia a seconda dei venti, composta sabbia finissima, con una percentuale altissima di quarzo bianco, e soggetta a un’erosione ciclica.

Nel Dopoguerra ci fu il primo assalto: Cagliari fu ricostruita anche con quella sabbia apparentemente inesauribile e invece soggetta a un ripascimento dai tempi millenari. Alla fine degli anni Novanta in concomitanza con l’ampliamento del porto di Marina Piccola, l’erosione aumentò e si decise di tamponarla con un ripascimento eccezionale, ma si prese la sabbia dal fondo marino, quindi una sabbia organica e scura. Il Poetto, ovviamente, cambiò volto per sempre e divenne una spiagga “normale”.

Lo stesso disastro fu combinato a Villasimius. La spiaggia del riso si chiama così perché in origine era composta da granelli di quarzo bianco. Per rivederla, bisogna recarsi a Is Aruttas, nell’Oristanese, dove (r)esiste una spiaggia simile, anch’essa presa d’assalto dai bagnanti e anch’essa tutelata da veti e multe. Mario Corso sospira: «Oggi è tanto se riesci a vederla, la sabbia di queste spiagge». Effettivamente alcuni degli scorci più pittoreschi del mare sardo si sono trasformati in una Rimini in sedicesimo e l’erosione si è portata via anche i ricordi. Il tempo ha corso più veloce di tutti e i giorni in cui il piede sinistro di Dio, come lo chiamavano negli stadi, palleggiava con Bellugi sulla sabbia della Pelosa appartengono alla Storia. Mariolino però ci saluta con un pronostico: «Vedrete, la salveranno. L’anno prossimo chiuderanno la Pelosa». Forse no, ma si deve pur tentare di dribblare il tempo.

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