Trump e il Medio Oriente, il prossimo leader Usa al banco di prova
venerdì 11 novembre 2016

Ora che il campione anti-sistema Donald Trump, sostenuto dal vento impetuoso dello scontento americano, si appresta a atterrare – come un oggetto ancora parzialmente misterioso – sulla Casa Bianca, ossia l’emblema stesso del "sistema", ci si interroga, non senza preoccupazione, sulle strade che la futura amministrazione americana intende percorrere.Fra i dossier più importanti di cui Trump dovrà occuparsi, vi è certo quello mediorientale, per tradizione uno dei più complessi, ostici e contraddittori con cui confrontarsi. E qui quanto ci si può aspettare rassicura pochissimo. Nelle poche cose chiare dette sul Medio Oriente da Trump durante la campagna elettorale, spicca la sua volontà di abolire l’accordo sul nucleare raggiunto con l’Iran dopo più di un decennio di difficili negoziati. Obama lo considera uno dei suoi (pochi) grandi successi, e a ragione, dato che si tratta di un ottimo accordo. I repubblicani, al contrario, hanno cercato in mille modi di sabotarlo; il nuovo presidente lo ritiene addirittura disastroso e, quindi, da smantellare. Più facile a dirsi che a farsi, dato che si tratta di un’intesa internazionale sotto l’egida dell’Onu.

Sconfessarlo significherebbe mettersi contro le Nazioni Unite, Russia e Cina, ma anche l’Europa, che ha puntato molto sul compromesso con Teheran.Sarebbe invece un grande regalo a Israele e alle monarchie arabe del Golfo. Proprio da quest’ultime, tuttavia, filtra inquietudine: Trump, le cui idee sulla religione islamica sfiorano l’islamofobia, non ha risparmiato attacchi all’Arabia Saudita, mettendo con successo in difficoltà Hillary Clinton, i cui legami – anche finanziari – con gli emiri del Golfo sono ben noti. Comprensibile quindi che in molti, nella penisola arabica, si preoccupino. In realtà, l’unica cosa finora evidente è l’incompetenza del presidente eletto nei complessi temi della politica estera mediorientale. Molto, probabilmente, dipenderà dal Segretario di Stato che verrà scelto. Se Trump si avvarrà di un politico pescato dall’anima tradizionale del Partito repubblicano, come Bob Corker, attuale presidente del Comitato per la politica estera del Senato, ci si incamminerà verso una politica tutto sommato "di sistema".

In questo caso, le lobby industriali e militari che influenzano da sempre il Congresso avrebbero facile gioco nel sostenere una linea di continuità con l’Arabia Saudita (da sempre grande acquirente di armi americane) e i Paesi del Golfo. Se prevarranno scelte di rottura o di elementi "estremisti" (come l’indimenticato ambasciatore all’Onu John Bolton, favorevole ad abbattere "qualche piano" del Palazzo di vetro), saranno più facili scelte erratiche e imprevedibili.

Chi ha molto festeggiato per la sua elezione è stata la destra israeliana di Netanyahu. Certo, Trump non fa mistero della sua grande vicinanza a Israele (cosa che in realtà fanno tutti i candidati alla presidenza degli Stati Uniti) e ha promesso di spostare l’ambasciata a Gerusalemme; lo Stato ebraico farebbe tuttavia bene a osservare con attenzione anche alcune pulsioni anti-ebraiche che riecheggiano qua e là nel corpo indistinto di americani impoveriti e arrabbiati che ha votato contro Hillary Clinton, contro il 'sistema' e contro Wall Street. Ma dove forse la politica estera di Trump si potrà delineare con maggior rapidità è il fronte siriano. Nei mesi scorsi, non ha fatto mistero di volere un riavvicinamento con Putin e di guardare con minore ostilità alla campagna militare russa (ma anche iraniana) a sostegno di Assad. Qui, il nuovo presidente dovrà decidere – e decidere in fretta – che cosa fare.

Se continuare con la confusa strategia di Obama o sparigliare e cercare un accordo con Mosca (limitando il sostegno agli alleati arabi e ai curdi). Il che, forse, lo riavvicinerebbe a Erdogan, da tempo in rotta di collisione con Washington, ma creerebbe enormi incomprensioni con i Paesi arabi, Israele e parte dell’Europa. In ogni caso, quale che siano le sue decisioni, ciò che il nuovo presidente dovrà capire in fretta è che il Medio Oriente richiede tempo, pazienza e conoscenze per comprendere una regione di straordinaria complessità. Qualità per cui Trump, al momento, non è noto. Per il bene della comunità internazionale, c’è da sperare che le possiedano almeno i consiglieri di cui si circonderà. Sarà questa la mossa rivelatrice. E un cruciale banco di prova di leadership.



© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI