Scontri geopolitici e intese Cina-Chiesa
martedì 27 agosto 2019

Nuove ordinazioni episcopali in Cina, le prime dopo l’Accordo tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese del 22 settembre scorso. Ieri è stato ordinato vescovo di Ji Ning (oggi nota come Wumeng) in Inner Mongolia, don Yao Shun, vicario generale della diocesi. Durante la cerimonia – novità significativa – è stato sottolineato ufficialmente che «il candidato è stato approvato dal Papa», richiamando così la nomina da parte della Santa Sede. Si prevede inoltre che nei prossimi giorni sarà ordinato un altro vescovo, a Hanzhong in Shaanxi, don Xu Hong Wei. Subito dopo l’Accordo, Papa Francesco scrisse ai cattolici cinesi che si apriva la «speranza di assicurare alla Comunità cattolica buoni Pastori» e chiese loro di «cercare insieme» non «funzionari per la gestione delle questioni religiose», ma «autentici Pastori secondo il cuore di Gesù». L’auspicio sembra realizzarsi con questi nuovi vescovi, che godono entrambi di ottima fama e dell’apprezzamento generale. Per questo, oltre il Portone di bronzo, c’è particolare soddisfazione.

Anche se attesa – "Avvenire" ha parlato della loro prossima elezione il 13 aprile scorso – la notizia è indubbiamente importante anche per il momento in cui matura. Nell’ultimo anno la situazione internazionale si è molto complicata. Tra Stati Uniti e Cina è divampato uno scontro sempre più pesante intorno alla "guerra dei dazi" e a Hong Kong dall’inizio di giugno è partita una protesta che non sembra placarsi. Sono due vicende molto diverse, ma che si intrecciano, aggravandosi reciprocamente. Nessuna delle due riguarda direttamente la Chiesa cattolica, ma a Pechino la preoccupazione è grande e tutto viene valutato alla loro luce.

Non è passata inosservata la partecipazione alle iniziative di protesta a Hong Kong da parte di esponenti della Chiesa cattolica (e di altre Chiese cristiane). Ma a più riprese il cardinal Tong – già vescovo di Hong Kong e ora amministratore apostolico della diocesi, dopo la morte di monsignor Yeung – ha lanciato un appello importante per la pacificazione insieme al portavoce delle comunità protestanti. Pochi giorni fa, la governatrice Lam ha fatto un passo in questo senso, quando le proteste sembravano tornate a esprimersi in forma pacifica (ma purtroppo negli ultimi giorni ci sono stati altri scontri).

Pechino intanto ha più volte fatto sapere che di fronte a episodi di «terrorismo» sarebbe costretta a intervenire: un minaccia agitata a parole, a giudizio degli osservatori, proprio per non doverla poi mettere in pratica. Il dialogo, però, fatica a procedere, anche perché è difficile individuare interlocutori in grado di rappresentare tutti i manifestanti e mentre le richieste spaziano da un miglioramento delle condizioni socio-economiche (più che comprensibili) a una non meglio definita "indipendenza" (esclusa dalla cessione inglese di Hong Kong alla Cina nel 1997 sottoscritta da lord Patten). È un contesto in cui posizioni come quelle del cardinal Tong sono molto importanti: esprimono una Chiesa che rifiuta la violenza, che ha a cuore chi soffre, che sostiene tentativi di mediazione.

Nella questione di Hong Kong si sono inserite anche alcune iniziative americane interessate ad accrescere le difficoltà della Cina per segnare punti nella "guerra dei dazi". Ma questa – così come è stata condotta finora – è una guerra che nessuno può vincere, fa molti danni ai due protagonisti e può peggiorare pericolosamente il quadro globale (oltre ai diretti interessati, penalizza molti altri Paesi, in primis quelli europei, e destabilizza le Borse di tutto il mondo).

Anche riguardo a questo scontro, a Pechino ci si chiede quali siano le 'posizioni dei cattolici', osservando quelli che appoggiano Trump e condividono il sentimento anti-cinese oggi diffuso negli Stati Uniti. A rendere le cose ancora più complesse ci sono state le reazioni agli 'Orientamenti pastorali sulla registrazione del clero cinese' del 28 giugno scorso, con cui la Santa Sede ha incoraggiato i vescovi clandestini a farsi riconoscere ufficialmente, esponendo però con chiarezza anche i problemi che permangono. Quando ci sono tante difficoltà e tensioni è facile che prevalga la sfiducia.

Ma l’apertura mostrata tante volte da papa Francesco, la sua fermezza nel dialogo, la serenità con cui resiste a pressioni a volte anche pesanti costituiscono un importante punto fermo per le autorità di Pechino, rafforzato dalla piena consonanza con il Papa della diplomazia vaticana. In mezzo a tante incertezze, insomma, l’ordinazione di questi vescovi non appare una scelta di routine e conferma, ancora una volta, che i cattolici cinesi hanno in papa Francesco non solo il loro alto e sicuro riferimento, ma anche il principale protettore

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