Tv e giornali nel mirino di Trump: perché la libertà d'espressione è a rischio

Il caso Kimmel, presentatore sospeso dall'Abc dopo gli attacchi rivolti da Trump al programma, fa il paio con le cause miliardarie del tycoon alla stampa. I grandi network sono sempre più deboli
September 19, 2025
Tv e giornali nel mirino di Trump: perché la libertà d'espressione è a rischio
Ansa | Sit in di protesta fuori dall'Abc dopo la decisione di sospendere il "Jimmy Kimmel live!": i manifestanti sui cartelli danno dei codardi ai grandi network Usa, accusati di essersi piegati al diktat di Trump
I fatti sono noti. Dopo essere stata minacciata dall’Amministrazione Trump di revoca dell’autorizzazione a trasmettere, la Abc ha sospeso il programma di Jimmy Kimmel perché il conduttore aveva accusato “la banda Maga” di dipingere come un uomo di sinistra l’assassino di Charlie Kirk. Ieri la Disney, proprietaria della Abc, ha aperto a un possibile ritorno dell’umorista, ma solo «se abbassa i toni». Intanto Donald Trump dipingeva la sua minaccia di togliere la licenza statale alle tv che ospitano critiche a lui e al suo movimento come del tutto logica: «Quando hai una rete e hai uno spettacolo serale e tutto ciò che fa è attaccare Trump e farmi cattiva pubblicità, e hai una licenza, penso che la licenza dovrebbe essere tolta».
Non fa una piega se si accetta il presupposto che Trump è lo Stato e che il diritto di trasmettere programmi a livello nazionale dipende da lui.
È una novità. Negli Stati Uniti il favore del presidente in carica non è mai stata una delle regole cui ottemperare per produrre e diffondere trasmissioni televisive. Invece ieri il capo della Fcc, l’agenzia governativa che regola le comunicazioni, Brendan Carr, ha chiarito che non attaccare il presidente fa parte «dell’interesse pubblico» che le reti hanno l’obbligo di rispettare. È una novità, si diceva, ed è recente: solo due anni fa, lo stesso Carr, criticando gli sforzi di rendere i colossi tecnologici responsabili di moderare i messaggi di odio che appaiono sui social media, scriveva su X: «La libertà di espressione è il contrappeso al controllo governativo. La censura è il sogno dei governi autoritari».
In effetti, se un Paese al mondo ha sempre preso sul serio la libertà d’espressione, sono gli Stati Uniti. Fino a proteggere espressioni di odio, almeno fino a che non si trasformano in atti violenti. Non a caso la libera circolazione delle idee, anche le più estreme, è contenuta nel primo articolo della loro carta costituzionale. È il Paese dei tornei di dibattito nelle scuole.
Fino a pochi mesi fa. Ora, in seguito all’assassinio dell’attivista conservatore Kirk, decine di dipendenti pubblici sono stati licenziati, sospesi o sanzionati per aver pubblicato sui social media post ritenuti «inappropriati».
La scorsa settimana i servizi segreti Usa hanno messo in congedo un dipendente che aveva scritto su Facebook che Kirk «ha vomitato odio e razzismo nel suo show». Un impiegato della Federal Emergency Management Agency è stato sospeso per aver descritto su Instagram Kirk come «letteralmente misogino omofobo e razzista». Paradossalmente, Kirk era un fervente sostenitore della libertà di parola, disposto a discutere e a sfidare chi non era d'accordo con lui. E si potrebbero trovare frivole le cause legali da 10 miliardi di dollari intentate da Trump contro il Wall Street Journal e da 15 miliardi contro il New York Times (che ieri un giudice federale della Florida ha respinto perché “ripetitiva e superflua”). Probabilmente non avranno successo. Ma sono una forma di intimidazione. Come la causa che la rete Cbs ha chiuso pagando a Trump un cospicuo risarcimento e, due settimane dopo, annullando lo show del conduttore Steve Colbert, un altro critico del tycoon.
Se Jimmy Kimmel è l'ultimo commentatore statunitense a vedersi rimuovere una piattaforma dopo commenti che il presidente ha ritenuto offensivi, non sarà certamente l’ultimo, a giudicare dai commenti di Trump e della sua Amministrazione. Ancor prima che la Abc sospendesse Kimmel, infatti, Carr aveva chiesto alle emittenti locali di interrompere la trasmissione del programma se non volevano «incorrere in multe o vedersi sospendere la licenza». Allo stesso tempo Trump pubblicava su Truth social la sua accorata approvazione della sospensione di Kimmel, pochi minuti dopo aver elogiato le virtù della libertà di parola in un discorso al castello di Windsor.
Chi sarà allora il prossimo conduttore, giornalista o comico a essere colpito? Non certo Brian Kilmeade, presentatore di Fox TV, il canale di destra amato da Trump. Kilmeade ha recentemente chiesto che i malati mentali e i senzatetto vengano uccisi. È ancora al suo posto.

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