Trump vince la prima sfida. Ma il difficile arriva adesso: ecco perché
Il presidente ha messo in gioco se stesso. Restano molti punti da negoziare: il nuovo sistema di governo a Gaza, l’uscita dalla Striscia dei leader militari del movimento e la fase successiva della ricostruzione e del rientro nelle zone devastate dei gazawi

«Per fare la pace ci vuole coraggio». Donald Trump ha vinto la prima sfida e, va ammesso, davanti al mondo ha messo la sua faccia. E anche se il difficile viene adesso, paradossalmente il presidente Usa si è offerto in ostaggio. Perché? Perché risponde ad Hamas direttamente delle promesse contenute nel suo piano, ai Paesi arabi e alla Turchia, che hanno convinto i terroristi a fermarsi, e perché con Israele ha degli impegni ben precisi che dovrà mantenere. Il difficile arriva ora, dicevamo: la seconda fase del piano, dopo la liberazione degli ostaggi e l’arretramento dell’esercito sulle posizioni decise nell’intesa firmata a Sharm el-Sheik, si prevede una serie di ostacoli che andranno affrontati nei prossimi giorni, primo fra tutti il nuovo sistema di governo a Gaza, l’uscita dalla Striscia dei leader militari del movimento e la fase successiva della ricostruzione e del rientro dei gazawi nelle zone devastate. Trump - gli va dato atto - ha di fatto messo in gioco se stesso con questo accordo. Hamas ormai non ha più alcuna carta nelle mani: una volta liberati tutti gli ostaggi e restituiti i cadaveri (su questo punto i leader hanno ammesso di non sapere dove possono essere stati sepolti molti corpi), non avrà la possibilità di ricattare ancora come è riuscito a fare in questi due anni di guerra.
Inoltre a garantire saranno l’Egitto, il Qatar e la Turchia, a loro volta “riassicurati” da Trump. Il presidente Usa anche nelle ultime ore ha forzato su questa parte dei mediatori per raggiungere la firma del primo atto dell’intesa. Nel caso in cui Hamas riprendesse in qualche modo le attività o Israele non rispettasse assolutamente i punti sottoscritti, l’unico che rischierebbe seriamente di rimanere stritolato in un conflitto che potrebbe offrire ancora molte insidie è proprio il capo della Casa Bianca. Per questo domenica sarà a Gerusalemme e Tel Aviv, per questo ha accettato di parlare davanti alla Knesset, il Parlamento israeliano, per questo probabilmente andrà in Piazza degli ostaggi a raccogliere il tributo dei parenti delle vittime e dei rapiti. Proprio gli stessi parenti che anche stanotte, scendendo in piazza per esultare, hanno chiesto la assegnazione del Nobel per la Pace al tycoon: un'operazione, per quanto riguarda soprattutto i tempi, probabilmente di difficile realizzazione. Domattina alle 11 a Oslo sarà annunciato il nome del vincitore del riconoscimento per la pace. I tempi sono ristretti per un’assegnazione al Trump, che comunque aveva già raccolto decine di candidature, soprattutto dei leader dei Paesi che lui dice di aver pacificato sei, sette e alla fine otto accordi di pace per molti versi discutibili visti i risultati precedenti. Questa invece è una sfida superiore a tutte quelle che finora ha affrontato. Decenni di conflitto, stragi, duemila israeliani uccisi il 7 ottobre, 67mila palestinesi (secondo Hamas) morti sotto le bombe sono un viatico che potrebbe apparire insormontabile. “Per fare la pace ci vuole coraggio“, come ha insegnato papa Francesco.
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