Sudamerica, le politiche anti-migranti di Trump peggiorano la crisi
di Redazione
Il rapporto “Unwelcome” di Medici Senza Frontiere punta il dito contro misure restrittive e disumanizzanti che finiscono con il creare un limbo di violenza e incertezza in tutto il continente

Le politiche migratorie dell’Amministrazione Trump, alla fine, hanno attraversato i confini. Un effetto domino che ha spinto diversi Paesi lungo il corridoio migratorio latinoamericano a intensificare misure di deterrenza, amplificando così la crisi umanitaria. A tracciare una mappa di questa strategia sistemica è il rapporto “Unwelcome” pubblicato ieri da Medici Senza Frontiere (Msf).
Che denuncia le «politiche migratorie più restrittive e disumanizzanti degli ultimi anni» adottate nei primi sei mesi della nuova Amministrazione statunitense: chiusura dell’applicazione Cbp One, fine del permesso umanitario temporaneo, militarizzazione della frontiera e deportazioni. A cui bisogna aggiungere la chiusura dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale e la sospensione della maggior parte dei programmi che sosteneva. Al vuoto lasciato da Washington si sono sommate le restrizioni introdotte da diversi Paesi lungo la rotta migratoria: smantellamento dei campi informali, retate, detenzioni arbitrarie, chiusura delle stazioni di accoglienza, ostacoli burocratici all’asilo.
Che denuncia le «politiche migratorie più restrittive e disumanizzanti degli ultimi anni» adottate nei primi sei mesi della nuova Amministrazione statunitense: chiusura dell’applicazione Cbp One, fine del permesso umanitario temporaneo, militarizzazione della frontiera e deportazioni. A cui bisogna aggiungere la chiusura dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale e la sospensione della maggior parte dei programmi che sosteneva. Al vuoto lasciato da Washington si sono sommate le restrizioni introdotte da diversi Paesi lungo la rotta migratoria: smantellamento dei campi informali, retate, detenzioni arbitrarie, chiusura delle stazioni di accoglienza, ostacoli burocratici all’asilo.
In altre parole vuol dire aver bloccato in America Centrale, in un limbro di violenza e incertezza, decine di migliaia di persone che cercavano asilo negli Stati Uniti. «Non abbiamo mai voluto entrare negli Stati Uniti illegalmente», racconta a Msf una donna honduregna bloccata a Reynosa, nel nord del Messico. «Chiediamo benevolenza per casi come il mio: madri che hanno aspettato a lungo con i bambini e che vogliono dare loro una vita migliore. Siamo stati vittime di truffe, dei cartelli, siamo stati ingannati, siamo traumatizzati». La donna aveva ottenuto un appuntamento tramite Cbp One tre giorni prima che l'app fosse chiusa e gli appuntamenti cancellati. Non è l’unica: «Parliamo di almeno 270mila persone registrate, di cui 30mila avevano già un appuntamento fissato», Andrea Contenta, responsabile affari umanitari Msf in Messoco. «Molti erano già a ridosso della frontiera. Altri sono rimasti bloccati più a sud. Chi ha potuto si è spostato verso Monterrey o Città del Messico». Per tanti tornare nel proprio paese non è semplicemente possibile. Fuggiti da crisi politiche ed economiche come in Venezuela o Cuba, dalla violenza delle gang di Haiti o dalle minacce dei pandilleros di El Salvador.
«Ci è stato dato un ultimatum di 24 ore per pagare una somma di denaro che non avevamo», racconta a Msf una donna salvadoregna a Tapachula, nel sud del Messico. «Migrare non è stata una scelta politica né una ricerca di migliori opportunità economiche. È stata una decisione urgente per salvare le nostre vite». Intanto, le procedure di asilo in Messico sono diventate più lunghe e complesse in diverse città. E la violenza dei gruppi criminali organizzati continua a crescere: rapimenti, estorsioni, furti, violenza sessuale e sfruttamento del lavoro. Tra gennaio 2024 e maggio 2025, Msf nella regione ha trattato quasi 3.000 vittime e sopravvissuti alla violenza sessuale e fornito quasi 17.000 consultazioni di salute mentale, la maggior parte per torture, rapimenti, estorsioni, furti, lavoro forzato e sfruttamento sessuale in movimento tra Messico, Guatemala, Honduras, Costa Rica e Panama. La retorica che criminalizza i migranti li spinge ai margini, lontano da servizi essenziali e per paura di essere arrestati non chiedono aiuto. «Dietro ogni politica c’è il suo impatto sulle persone reali: sopravvissuti alla tortura, famiglie in fuga dal pericolo e bambini che attraversano i confini da soli», denuncia Franking Frías, vicedirettore delle operazioni di Msf in America Centrale.
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