Ritorno al Bataclan, dieci anni dopo: a Parigi ha vinto la speranza

Il 13 novembre 2015 la furia dei jihadisti lasciò Parigi muta e annichilita. Stéphanie, sopravvissuta: «Cerchiamo di vedere ciò che è nato di bello»
November 12, 2025
L'omaggio, dieci anni fa, dei cittadini di Parigi alle vittime del Bataclan. Giovedì alle 14 si terrà una commemorazione davanti al locale / Ansa
L'omaggio, dieci anni fa, dei cittadini di Parigi alle vittime del Bataclan. Giovedì alle 14 si terrà una commemorazione davanti al locale / Ansa
La sera del 13 novembre di 10 anni fa, allo Stade de France, c’era in cartellone Francia-Germania. Ma nessuno spettatore, e nessun parigino, immaginava di ritrovare la Ville Lumière, l’indomani mattina, accovacciata sotto un pesante silenzio assoluto. In lutto e sotto choc. Incredula per la mattanza di un’interminabile serata stravolta dalla furia del Daesh. Tutto iniziò all’esterno dello stadio gremito pure di personalità, compreso l’allora presidente socialista François Hollande. Ma gli epicentri dello strazio divennero, in pieno centro, la sala da concerti Bataclan e i caffè affollati presi di mira dalle raffiche di Kalashnikov. Una serata che è impossibile rievocare da soli, tanto si trattò di una tragedia collettiva.
Inevitabile, anche per noi, dar voce a una testimone, Stéphanie Zarev, sopravvissuta del Bataclan. La sala dove morì pure Valeria Solesin, veneziana 28enne, a Parigi per un dottorato in Demografia sulla conciliazione al femminile fra vita professionale e familiare. I morti furono 130, accanto a 413 rimasti feriti, di cui 99 gravemente. Il ricordo serve da molla a chi perpetua il senso e i moniti di quelle ore: «Avevo bisogno di sentirmi utile, avendo sofferto di un’importante colpevolezza da sopravvissuta. Quella sera, non fui in grado di aiutare nessuno. Il mio cervello non me lo permise. Fui solo capace di fuggire. Ma lì ho lasciato una parte di me», racconta Stéphanie, oggi fra i responsabili dell’associazione Life for Paris.
Su invito delle autorità, i parigini depongono candele, fiori, messaggi a Place della République e in altri luoghi simbolo. Giovedì, in diretta tivù, il presidente Emmanuel Macron inaugurerà il Giardino della Memoria del 13 novembre, ai piedi della centralissima chiesa di San Gervasio, con musiche dagli accenti sacri e laici. Tante le personalità attese, come Roberta Metsola, alla guida dell’Europarlamento. Ma tutti sanno che la sfida resta aperta. «La tendenza generale è verso una minaccia crescente», per Olivier Christen, procuratore nazionale antiterrorismo. Tanti i giovani, fra i 540 profili seguiti dalla Procura, nell’86% dei casi per minacce jihadiste, con 394 persone formalmente incriminate e 150 in custodia cautelare. Anche per via dei controlli rafforzati, calano le minacce «progettate» con commando dall’estero, ma crescono i tentativi individuali di neo-radicalizzati già sul territorio, magari «controllati a distanza».
Il 2015 cominciò con le stragi jihadiste collegate di gennaio, al settimanale satirico Charlie Hebdo e al supermercato ebraico Hyper Cacher. Fu una fosca stagione di portata europea. Adesso, proprio alla vigilia delle commemorazioni, nuove rivelazioni hanno rialzato l’allerta. Fra Lione e la sua banlieue, 3 ragazze neomaggiorenni in contatto sui social, arrestate il mese scorso, si stavano “attrezzando” per commettere attentati nello stile di quelli di un decennio fa. Ancor più scalpore ha suscitato la notizia di una chiavetta Usb con contenuti jihadisti ritrovata in possesso di Salah Abdeslam, il terrorista oggi 36enne che è l’unico scampato del commando del 13 novembre. Attualmente, sconta l’ergastolo in un carcere di massima sicurezza del Nord francese. Sotto accusa è l’ex compagna Maëva, per aver trasmesso la chiavetta e soprattutto per il coinvolgimento in un nuovo progetto d’attentato, assieme ad una giovane coppia composta da un 20enne e una 17enne del Midi, anch’essi fermati.
Fra il settembre 2021 e il maggio 2022, il maxiprocesso parigino per le stragi del 13 novembre, presso la Corte d’assise speciale, è rimasto per tutti una tappa indimenticabile: «Avevo bisogno di comprendere cos’era accaduto nell’insieme quella sera e come il gruppo terroristico si era organizzato. Come tutto fosse preparato fin dal 2014. Ma non capisco ancora davvero come un giovane possa radicalizzarsi fino a uccidere della gente», ammette Stéphanie, che ha testimoniato in aula.
Nella Francia ancora tanto turbata, i sopravvissuti formano un fronte di resistenza, già dandosi conforto, nel quadro di associazioni come Life for Paris: «Per me, è una seconda famiglia. Abbiamo un legame indefettibile. Quando ci rivediamo, è come se ci fossimo lasciati la sera prima. Ci capiamo senza bisogno di spiegazioni. A loro, posso dire ciò che non oso evocare con i miei cari», continua Stéphanie, che non vuole restare solo ancorata al passato: «Devono essere commemorazioni all’insegna della speranza. Dobbiamo cercare di vedere, nonostante tutto, ciò che è nato di bello. Personalmente, malgrado il dolore e l’orrore, mi preferisco così come sono oggi, rispetto alla persona che ero prima degli attentati. Come società, spero che capiremo un po’ meglio che assieme siamo sempre più forti e che non si dovrebbero mai ascoltare quei politici che soffiano sulla paura dell’altro. Occorre cambiare il nostro sguardo sulla società. Solo comunicando con tutti, si vincono la paura e l’oscurantismo».

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