Putin: tre giorni di tregua per il 9 maggio. Kiev: un mese subito
di Nello Scavo
Dopo i colloqui in Vaticano, Trump si dice deluso da Mosca e spinge per un cessate il fuoco «permanente». «Il presidente ucraino è pronto a cedere la Crimea». Telefonata Rubio-Lavrov

Tornando negli Usa dopo le esequie in Vaticano, Donald Trump è apparso meno disponibile del solito a farsi blandire dalle trovate di Vladimir Putin. Il presidente russo prepara le celebrazioni del 9 maggio, commemorando la vittoria di 80 anni fa sul nazifascismo. Ma anche Trump per i suoi cento giorni da presidente vorrebbe esibire quella pace che aveva promesso di ottenere in meno di due giorni dall’inizio del mandato.
Lunedì il capo del Cremlino ha annunciato una tregua unilaterale di tre giorni in occasione delle commemorazioni del 9 maggio. Altre volte lo zar ha risposto agli appelli di Trump guadagnando tempo, ma ieri il tycoon ha mostrato di non voler più mangiare la foglia. «Il presidente vuole un cessate il fuoco permanente per porre fine alla guerra», ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt. Anche il presidente ucraino Zelensky ha ribadito il medesimo concetto, dopo che Mosca ha detto di essere disponibile a trattare direttamente con Kiev, attendendosi una risposta dall’Ucraina. Che si è fatta trovare pronta, prendendo in contropiede il Cremlino: «Se Mosca vuole la pace, deve introdurre un cessate il fuoco immediatamente. Perché aspettare fino all’8 maggio? Se gli attacchi possono cessare ora e durare 30 giorni sarà decisione reale e non una parata», ha dichiarato il ministro degli Esteri, Andrii Sybiha, citando la sfilata militare che viene ogni anno organizzata sulla Piazza Rossa. Di possibili trattative sono tornati a parlare in un colloquio telefonico Lavrov e il segretario di Stato americano Marco Rubio. Mentre la presidenza ucraina fa trapelare per la prima volta la disponibilità a rinunciare alla Crimea.
Pur senza rinunciare a rimproverare Zelensky, stavolta i toni della Casa Bianca sembrano cambiati. Trump dice di averlo trovato «più calmo» e aggiunge che «sta facendo un buon lavoro e vuole un accordo». La sua portavoce dapprima indirizza il consueto rimprovero alle due parti: «Il presidente è sempre più frustrato con i leader di entrambi i Paesi». Poi sottolinea cosa desidera “The Donald”: «Vuole vedere un cessate il fuoco permanente. So che Putin ha offerto un cessate il fuoco temporaneo. Il presidente ha chiarito che vuole un cessate il fuoco permanente per fermare le uccisioni e lo spargimento di sangue». In altre parole, non è soddisfatto dell’offerta. E da Washington è arrivata anche la notizia che il Segretario di stato Marco Rubio ha discusso con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov dei “prossimi passi nei colloqui di pace tra Russia e Ucraina” nel corso di una telefonata avvenuta domenica. Rubio ha inoltre sottolineato la necessità di “porre fine alla guerra ora”.
Come sempre accade quando si ha a che fare con la diplomazia matrioska di Putin, si moltiplicano le dichiarazioni di vario segno e diversa tonalità, costringendo gli analisti a cercare nelle pieghe del lessico putiniano le reali intenzioni di Mosca. Tocca al ministro degli Esteri russo Lavrov, dopo le apparenti aperture di Putin, alzare il tiro e indicare come minacce da cui Mosca deve proteggersi non solo la Nato, ma anche l’Unione europea e «alcuni Paesi che ne fanno parte lungo il confine occidentale» russo. Il riferimento è in particolare ai baltici, che dopo l’aggressione russa sull’Ucraina si sono affrettati ad aderire all’alleanza militare atlantica.
Gli avvertimenti neanche tanto velati dell’abile ministro Lavrov sono evidentemente concordati con Vladimir Putin, il quale annunciando la tregua dei tre giorni, ha voluto precisare che in ogni caso «le operazioni militari proseguono». Sedersi a trattare, dunque, ma con il colpo in canna. Che il colloquio in San Pietro tra Trump e Zelensky, raggiunti poi dai “volenterosi” Macron e Starmer sia stato più di un sasso nello stagno lo si intuisce ancora una volta dalle parole di Lavrov, nei fatti il capo dei negoziatori russi. E lui a porre le condizioni per una trattativa. Se il Putin dalla postura improvvisamente “pacificatrice” dice di essere pronto ad avviare con Kiev un dialogo «senza precondizioni», la diplomazia guidata dal ministro degli Esteri del Cremlino chiede alla comunità internazionale il riconoscimento come territorio russo non solo della Crimea, annessa illegalmente nel 2014 e sui cui lo stesso Zelensky ha lasciato intendere che si può negoziare, ma dell’intero territorio delle quattro regioni non completamente conquistate: Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhia.
In una intervista al quotidiano brasiliano O Globo, Lavrov ha ribadito: «La Russia procede dalla premessa della non adesione alla Nato dell’Ucraina e del suo impegno a essere un Paese neutrale e non allineato, demilitarizzato». Kiev risponde confermando ancora di essere pronta al negoziato, preceduto da un cessate il fuoco completo, duraturo, aggiungendo che se la Russia volesse veramente la pace, dovrebbe interrompere immediatamente i suoi attacchi. Sarebbe quella la prova delle buone intenzioni. Ieri non è arrivata: le difese aeree ucraine hanno abbattuto 40 dei 166 droni lanciati dalla Russia in attacchi multipli.
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