Perché Hamas è tornato a provocare il mondo con i video degli ostaggi

Il messaggio a Netanyahu, rivolto dai suoi connazionali nelle mani del movimento islamista, è chiaro: con l'occupazione di Gaza siamo morti. La replica del premier israeliano: propaganda
September 4, 2025
Perché Hamas è tornato a provocare il mondo con i video degli ostaggi
Ansa | I parenti degli ostaggi israeliani di Hamas accendono candele davanti alle foto dei loro cari
La sceneggiatura scelta da Hamas per il video diffuso ieri in occasione del settecentesimo giorno di guerra si inserisce con spietata precisione nel drammatico contesto militare, umanitario e diplomatico. L’ostaggio Guy Gilboa-Dalal si trova nei sedili posteriori di un’automobile. Nei vetri oscurati Gaza City distrutta. Guy indossa una camicia, è pallido ed emaciato. Cerca con fatica le battute mandate a memoria: «L’attacco a Gaza City per me e altri sette ostaggi significa la morte, perché non verremo spostati. Al governo tutto ciò non interessa. Fermate la guerra». Appare un altro ostaggio, Alon Ohel, anch’egli riordinato per la telecamera.
La narrazione del movimento islamista è chiara: prendere Gaza City ed evacuare centinaia di migliaia di abitanti non significa mettere in salvo i 20 ostaggi ancora in vita, ma perderne otto. Hamas è pronto a un accordo, come ormai la maggioranza degli israeliani. «L’unico a non volerlo è il premier Netanyahu, e il suo governo estremista»: sono tante le voci israeliane che nella giornata di ieri hanno usato il potere simbolico del numero per fare pressione sull’esecutivo, e lanciare l’ennesima manifestazione di massa prevista per oggi. «Ho un milione di racconti su cosa significhi essere all’inferno, ma dopo 700 giorni sembra che non importi più a nessuno», ha affermato Iair Horn, fratello di Eitan, ancora nelle mani di Hamas, durante una conferenza stampa tenutasi nel kibbutz Nir Oz, teatro del brutale attacco del 7 ottobre.
Una delle locandine con il volto di uno degli ostaggi: «Riportatelo a casa», recita - Ansa
Una delle locandine con il volto di uno degli ostaggi: «Riportatelo a casa», recita - Ansa
La risposta del premier Netanyahu è giunta in serata con una nota: «Nessun video di propaganda ci distoglierà dal raggiungimento degli obiettivi. La guerra può finire immediatamente alle nostre condizioni, il rilascio di tutti gli ostaggi, il disarmo di Hamas, il controllo di sicurezza israeliano sulla Striscia. L'istituzione di un'amministrazione civile alternativa». A creare ambiguità sulle intenzioni dell’esecutivo anche l’alterco con l’Egitto. Netanyahu ha accusato il Cairo di «imprigionare i residenti di Gaza che vogliono lasciare la guerra», bloccando il valico di Rafah. Le autorità egiziane hanno definito la dichiarazione del primo ministro «un tentativo di evitare le conseguenze delle violazioni israeliane a Gaza». Nel frattempo continuano le operazioni di “Gideon’s chariots 2”. La lenta, feroce tenaglia ha portato l’Idf a controllare ormai il 40 percento di Gaza City, permettendo l’inizio della seconda fase del piano, caratterizzata da bombardamenti ancora più pesanti e ordini di evacuazione di massa.
I quartieri periferici a sud, est e nord vengono spianati. La popolazione devastata dalla carestia si riversa a ovest, verso il mare, nel tentativo di procrastinare l’esodo per le tendopoli di Khan Yunis e Rafah. Nei prossimi giorni, ha fatto sapere il comando dell’Idf, «gli attacchi si concentreranno sulle infrastrutture terroristiche, i particolare modo le costruzioni più alte».
L’abbattimento della Torre Mushtaha a Gaza City: uno dei pochi edifici che ospitavanole famiglie in fuga dai settori occidentali della città - Reuters
L’abbattimento della Torre Mushtaha a Gaza City: uno dei pochi edifici che ospitavanole famiglie in fuga dai settori occidentali della città - Reuters
La Torre Mushtaha, uno dei pochi “grattacieli” ancora in piedi è stato falciato nelle fondamenta da un missile. L’edificio di 12 piani era considerato l’ultimo rifugio per le famiglie in fuga dai settori orientali. Nella mezz’ora intercorsa fra l’ordine di sgombero e l’impatto gli abitanti hanno gettato i pochi averi dai piani superiori, per raccoglierli poi nella fuga precipitosa. Il comando israeliano vuole evitare la guerriglia, dedicarsi al dedalo sotterraneo di Hamas. Sono almeno 44 le persone uccise nella Striscia ieri, 30 solo a Gaza City. Senza requie è anche la sistemica aggressione in Cisgiordania.
Trenta coloni hanno invece attaccato il villaggio di Khallet al-Daba, nell’area di Masafer Yatta, a sud di Hebron. Sono tre i palestinesi rimasti feriti. Ai coloni si affianca l’esercito, che negli ultimi mesi ha distrutto nel villaggio 25 edifici, dieci cisterne d’acqua e sette pozzi. «Queste azioni appartengono a un processo di colonizzazione. In tutta la Cisgiordania sta aumentando in modo significativo il rischio di pulizia etnica», ha denunciato con un comunicato Medici Senza Frontiere, che in Cisgiordania opera da 36 anni.

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