venerdì 9 luglio 2021
Pechino aveva fatto promesse sulla gestione dei mercati umidi, inferno per gli animali e grave rischio per gli umani. La Ong Animal Equality: poco o nulla è cambiato. E Lav denuncia i rischi in Italia
Tartarughe vive in vendita al mercato di Guangzhou, nel Guangdong

Tartarughe vive in vendita al mercato di Guangzhou, nel Guangdong - Ansa

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Le immagini dei “wet market” cinesi sono difficili da guardare, ma gli occhi vanno aperti. Anatre – vive – immobilizzate dentro sacchetti di juta da cui spunta solo la testa; conigli, galline, animali esotici, cani, gatti – vivi – ammassati nelle gabbie arrugginite insieme a quelli agonizzanti; tartarughe, pesci, granchi, rettili che macerano – vivi –, dentro case di acqua putrida; sangue dappertutto, carcasse appese tra i banchi lerci. Li chiamano wet market, mercati umidi, perché gli animali sono tenuti negli stessi spazi in cui vengono macellati – rilasciando tutti i liquidi biologici – e poi venduti. Un orrore che è emerso con tutta evidenza con la pandemia. Prima se ne occupavano quasi esclusivamente le associazioni animaliste, chiamate a sgomitare in un mondo di indifferenza affinché fossero garantiti i diritti minimi a creature senzienti trattate con una crudeltà indegna della specie umana. Quando è emerso il legame tra il Covid-19 e il mercato di Wuhan, in Cina, il tema ha preso un’altra piega, e l’aspetto sanitario ha prevalso.

Anatre vive nei wet market cinesi, immobilizzate nei sacchetti anche per intere settimane

Anatre vive nei wet market cinesi, immobilizzate nei sacchetti anche per intere settimane - Courtesy of Animal Equality

​Inascoltate le richieste dell'Oms

Ad aprile l’Oms ha chiesto la sospensione della vendita di mammiferi vivi e selvatici nei wet market perché rappresentano un grave rischio per la trasmissione di zoonosi all’uomo, favorendo il salto di specie. Lo abbiamo visto con la Sars, con l’H5N1. Quando la Cina, allo scoppio della pandemia, è stata travolta dall’accusa di aver creato il terreno fertile per uno dei virus più pericolosi della storia, il governo ha emesso un bando – temporaneo – alla caccia, vendita e consumo di animali selvatici a Wuhan. È passato un anno e mezzo, l’Oms ha tentato un’inchiesta in Cina, l’Amministrazione Biden ha aperto un dossier, ma l’impressione è che nulla sia cambiato.

Conigli ammassati nelle gabbie nei wet market cinesi: quelli ancora vivi accanto a quelli agonizzanti o già morti

Conigli ammassati nelle gabbie nei wet market cinesi: quelli ancora vivi accanto a quelli agonizzanti o già morti - Courtesy of Animal Equality


Le immagini di Animal Equality

Animal Equality è un’organizzazione internazionale che combatte in prima fila contro i wet market. Hanno un ufficio in India e sono riusciti ad organizzare una rete di collaboratori locali in Cina, Thailandia e Vietnam che – tutelata la loro sicurezza con un complesso sistema di garanzie – hanno potuto filmare e portare all’attenzione del mondo quel che succede nei mercati. In giugno hanno consegnato alle Nazioni Unite più di mezzo milione di firme raccolte con una petizione internazionale per chiedere il bando definitivo del commercio di animali vivi nei mercati umidi. Dal 2019 documentano quel che accade nei wet market asiatici, puntando proprio sulle immagini. Filmati che raccontano come la pandemia non abbia insegnato quasi nulla. Alla Cina in particolare. «Le svolte annunciate sono rimaste sulle carta. I wet market vanno avanti come sempre», spiega Chiara Caprio di Animal Equality.

Animali vivi e senzienti venduti in un wet market cinese e trasportati senza alcun riguardo, come fossero oggetti

Animali vivi e senzienti venduti in un wet market cinese e trasportati senza alcun riguardo, come fossero oggetti - Courtesy of Animal Equality

Colpisce, nei video, l’apatia di venditori e acquirenti: sembrano del tutto incapaci di vedere il dolore, estremo, degli animali; di registrare quelle condizioni igieniche inaccettabili. Il portato è culturale. C’entra anche la medicina cinese, si dice. Ma non c’è “antropologia alimentare” che possa giustificare una cosa del genere.

«Sicuramente in Asia ci sono differenze culturali rispetto alla nostra percezione – dice Caprio –. Basti pensare al Festival di Yulin, in cui vengono massacrati milioni di cani, che tocca alcune zone della Cina. Ma stiamo notando uno spostamento importante nella sensibilità, e il fatto stesso che siano attivisti locali ad aiutarci nelle inchieste lo dimostra. È importante sottolineare che, almeno in Asia, alla base di questi mercati umidi non ci sono solo ragioni di sussistenza ma anche abitudini, sulle quali bisogna sensibilizzare. Spesso, come nel caso di cani e gatti, nemmeno si tratta di tradizione: Yulin per esempio, non ha radici antiche: è solo un evento commerciale, che ha lo scopo di attirare turismo da province specifiche, mentre la maggior parte della popolazione cinese non mangia né cani né gatti. Il fatto di consumare carne, poi, ha la valenza di uno status symbol, per via di una crescita economica basata su standard occidentali. Mancando una legislazione efficace, le conseguenze sono però quelle che vediamo».

Con la stessa pervicacia con cui continua a ignorare i diritti umani, la seconda potenza del mondo rifiuta di farsi carico delle più basilari richieste in fatto di sicurezza alimentare e rispetto degli animali. Moltiplicando tutto per il fattore di crescita del gigante asiatico, si intuisce a quali rischi si stia esponendo l’intero pianeta. Uno l’abbiamo già corso. E la battaglia non è ancora finita. Va anche detto che i wet market non sono solo fenomeno asiatico. Ce ne sono in Africa, o in Sudamerica. E ce ne sono in Italia.

​I «wet market» italiani: la campagna di LAV

Si tratta per lo più di fiere, sagre di paese, expo di animali esotici: una decina di grandi eventi (sopra i 300 tavoli); una ventina di medi, una ventina i piccoli. «Non sono praticamente sottoposti a controlli», sottolinea Andrea Casini di Lav. «È un fenomeno “nascosto”: ci sono evidenze che molti degli scambi avvengono in nero». Lav ha attivato la campagna “I Nostri Wet Market” (www.lav.it/campagne/wet-market-italia) e chiede vengano chiusi. Per il benessere di tutti gli animali, quelli con due gambe compresi. «In queste manifestazioni, all’aperto e soprattutto al chiuso – spiega Casini – vengono a contatto animali di specie e provenienza diversa, che in natura non si incontrerebbero mai. Tutti sono portatori di zoonosi, e quella promiscuità è la condizione migliore per offrire ai virus la possibilità di mutare: una palestra per addestrarli a trovare la chiave per attaccare anche noi». Forse conviene pensarci su. Prima.

Il trasporto degli animali macellati nei wet market cinesi

Il trasporto degli animali macellati nei wet market cinesi - Courtesy of Animal Equality


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