venerdì 25 luglio 2014
Papa Francesco telefona al patriarca Sako. A Mosul non si ferma la persecuzione. Ultimatum per cacciare anche i curdi.
Lo scempio dell'antica moschea
Parte "missione" della Chiesa francese
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Non si ferma la furia iconoclasta dei miliziani dello Stato islamico (Isis). I jihadisti che controllano dal mese scorso Mosul, nel nord dell’Iraq, hanno distrutto ieri la moschea intitolata al profeta Giona, considerata uno dei più importanti monumenti storici e religiosi della città e luogo di pellegrinaggio di cristiani e musulmani, sia sunniti sia sciiti.Ma per l’Isis il luogo di culto, posto sulla sommità della Collina di al-Tawba (il Pentimento) era diventato luogo di apostasia. Così ha invitato la popolazione locale ad assistere alla distruzione della moschea, compiuta con bulldozer e pale. È universalmente ammesso dai fedeli delle tre religioni monoteistiche che Giona (citato nel Corano sotto il nome di Yunus) abbia esercitato la sua missione proprio a Ninive, l’odierna Mosul, alla cui popolazione ha annunciato l’imminenza del castigo di Dio sulla città. Secondo le stesse fonti, i jihadisti hanno anche raso al suolo la moschea sciita di Wadi al-Akhdar, e si apprestano a distruggere anche quella di Najib Jader, anch’essa importante monumento storico. Dopo l’espulsione di cristiani, yezidi e shabak, Mosul sembra destinata a perdere anche la sua consistente componente curda. I jihadisti del Califfato hanno dato tempo fino a oggi ai cittadini curdi per lasciare la città. Già la settimana scorsa un leader del Kurdistan aveva parlato di un migliaio di famiglie curde che avevano ricevuto un ultimatum per lasciare Mosul, pena la morte. Da oltre un mese, da quando cioè l’Isis si è impadronito di Mosul, combattimenti sono in corso a nord della città tra con le forze peshmerga della vicina regione autonoma del Kurdistan. Nuovi scontri sono in corso a partire da giovedì in particolare nell’area di Telkeif, una ventina di chilometri a nord-est di Mosul, popolata da una maggioranza cristiana. La pulizia etnica nei confronti dei cristiani iracheni non rischia più tuttavia di passare sotto silenzio. Lo conferma l’eco sulla stampa (anche araba) che ha avuto la vicenda di Mahmoud al-Asali, professore all’Università di Mosul, che ha avuto il coraggio di dire ai terroristi che non è questo l’islam in cui crede lui, pagando questo gesto con la vita. Ieri, intanto, il Pontificio Consiglio “Cor Unum” ha stanziato un aiuto per i cristiani di Mosul pari a 40mila dollari: è un primo aiuto per le comunità colpite dalla persecuzione, costrette a fuggire. E – come riferisce <+CORSIVOA>Radio Vaticana<+TONDOA> – papa Francesco ha anche espresso «vicinanza e partecipazione» al patriarca di Babilonia dei Caldei e ai cristiani iracheni, in un colloquio telefonico con monsignor Louis Raphael I Sako. Lunedì invece, tre emissari della Chiesa cattolica francese voleranno per una visita di tre giorni in Iraq, per dare il loro sostegno e solidarietà ai cristiani del Paese. Si tratta del cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, monsignor Michel Dubost, vescovo di Evry e monsignor Pascal Gollnisch, direttore generale dell’Oeuvre d’Orient, un’associazione nata nel lontano 1856 con l’obiettivo di aiutare i cristiani d’Oriente. Un nota della conferenza episcopale francese riferisce che i tre religiosi intendono affermare «che la lotta contro l’indifferenza deve essere permanente. Pregheranno e agiranno presso le comunità minacciate». Il cardinale Barbarin aveva espresso un mese fa la sua indignazione per l’indifferenza di fronte al dramma dei cristiani iracheni. In un appello pubblicato da <+CORSIVOA>Le Figaro<+TONDOA> (rilanciato in Italia dalla Fondazione Oasis) chiedeva di andare oltre la compassione per i cristiani perseguitati, e di attivarsi concretamente in prima persona per aiutarli. «Propongo – scriveva il porporato – di incoraggiare le associazioni che attualmente lavorano nella piana di Ninive. Supplico i cristiani occidentali e tutti gli uomini e le donne di buona volontà che operano nel settore della sanità, dell’educazione, dell’alimentazione, di venire in aiuto ai sopravvissuti. Desidero lanciare un gemellaggio della nostra diocesi con una delle diocesi più bisognose». In Siria è di più di 70 morti il bilancio degli scontri tra le truppe lealiste e i miliziani dell’Isis che avrebbero uccisi anche alcuni soldati catturati. L’Isis aveva lanciato giovedì un’offensiva contro le truppe di Assad nelle province di Raqqa, al-Hasaka e Aleppo dopo aver occupato, la settimana scorsa, un giacimento di gas a Homs. Si tratta degli scontri più duri tra lo Stato islamico e il regime dal 2013. In precedenza l’Isis evitava di attaccare il regime, puntando a conquistare i territori in mano ai ribelli.
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