mercoledì 30 aprile 2025
Quasi impossibile per gli Inuit andare a votare. Orari impossibili e mancanza di informazioni. La delusione degli autoctoni: «Un'altra prova di esclusione»
Un segnale indica l'ingresso di un seggio a Ottawa

Un segnale indica l'ingresso di un seggio a Ottawa - Ansa

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Migliaia di cittadini autoctoni hanno denunciato di non aver avuto accesso ai seggi durante le elezioni federali canadesi di lunedì – una contraddizione in un Paese che da un quarto di secolo ha avviato un processo di riconciliazione con le popolazioni indigene. Nel Nord del Canada moltissimi seggi hanno chiuso nel primo pomeriggio, anziché alle 21.30 previste. In alcuni villaggi della regione del Nunavik il personale elettorale è rimasto solo per un paio d’ore. L’Agenzia federale elettorale ha spiegato che le condizioni meteorologiche hanno influenzato i voli degli addetti alle urne, e le comunità locali hanno risposto che il governo non ha fatto sforzi per assumere gente del posto come scrutatori, presidenti di seggio o personale di sicurezza. A loro dire, è un altro esempio di come gli Inuit vengano sfruttati da politici che si limitano a strette di mano e sorrisi in campagna elettorale.

Anche la mancanza di informazioni nelle lingue autoctone, a partire dall’inuktitut, addolora la popolazione Inuit, spiega Sonia Marchand, direttrice dell’ospedale di Iqaluit: «Non c'è mai stato nessuno che traducesse queste campagne per i nostri anziani o per le persone che hanno difficoltà a capire cosa sta succedendo – dice – e i seggi sono così pochi che bisogna fare ore di macchina, o prendere un aereo, per andare a votare».

Il risultato è un'affluenza ridotta nelle comunità indigene. Nelle elezioni federali del 2021, su oltre 38.000 elettori registrati nelle comunità indigene del Quebec, meno di 9.000 hanno votato, secondo Elections Canada: un tasso del 23% ben inferiore alla media nazionale del 63%.

Le popolazioni Inu, Inuit e Metis sono storicamente diffidenti del governo di Ottawa – lo stesso che mandava i suoi rappresentanti e prelevare i bambini per portarli nelle scuole residenziali, dove subivano un’assimilazione forzata. Ma i loro leader sono consapevoli che il miglioramento delle condizioni di vita passa attraverso l’elezione di rappresentanti locali al parlamento federale, dove vengono prese le decisioni di spesa per le loro regioni.

Maggiore attenzione dal centro del Paese alla sua periferia estrema è una delle rivendicazioni principali della minoranza autoctona, che rappresenta circa il 5% della popolazione canadese e sui cui bisogni aveva puntato il faro il Papa durante una visita del luglio 2022. Francesco aveva si era spinto fino ai limiti del circolo polare artico (il primo Pontefice a farlo), ascoltato testimonianze in 12 lingue diverse e ricevuto decine di indigeni che non avevano mai potuto raccontare la loro storia a un rappresentante della Chiesa. Durante il suo viaggio apostolico, il Vescovo di Roma si era scusato per il «genocidio culturale» del quale non pochi rappresentanti della Chiesa cattolica si erano resi complici in passato.

Ma, spenti i riflettori di quella storica visita, i problemi delle popolazioni indigene non sono scomparsi. Le comunità Inuit, a causa della colonizzazione, hanno perso il loro modo di sussistenza tradizionale e faticano ad adattarsi allo stile di vita occidentale. In Nunavut i giovani adulti di oggi sono solo la seconda generazione cresciuta in città, costretta a studiare e a cercare un lavoro per mantenersi. E il trauma di questo drastico, forzato cambiamento ha avuto effetti devastanti.

La dipendenza da alcol o droghe è endemica, la regione ha il più alto tasso di violenza coniugale in Canada e gode del triste primato del maggior numero di casi di maltrattamento di bambini, sei volte il tasso nazionale. Il suicidio si verifica 10 volte la media canadese. Le soluzioni sono estremamente complesse, ma la riconciliazione sicuramente passa per un autentico diritto di voto.

Le comunità native del Paese decimate dalla colonizzazione

Prima che le bandiere britanniche e francesi venissero piantate in Nord America, sul territorio c’erano già civiltà complesse che la colonizzazione ha poi decimato. Secondo l’ultimo censimento del 2021, gli indigeni canadesi sono circa 1,8 milioni di persone (il 5% della popolazione). Non sono una comunità omogenea ma si dividono in tre grandi categorie: First Nations (le “Prime Nazioni”, spesso erroneamente chiamate “indiani” in passato), Inuit (popolazioni artiche, quelli del Nord estremo) e Métis (discendenti di unioni tra indigeni e coloni europei, soprattutto francesi). Il Canada riconosce ufficialmente oltre 630 comunità First Nations, distribuite in più di 50 gruppi linguistici diversi. Metà vive ora in città (Toronto, Winnipeg, Vancouver), in condizioni di marginalità. Gli altri vivono nelle riserve, perlopiù in condizioni disperate. Disoccupazione e dipendenze sono problemi sistemici. Il Canada promuove l’immagine di Paese progressista e “riconciliato”. Fondi pubblici giganteschi vengono stanziati ogni anno per i “progetti di riconciliazione”, ma la gestione risulta fortemente centralizzata e disconnessa dai veri bisogni delle persone.

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