lunedì 23 febbraio 2015
Conferenza stampa di Sua Beatitudine Svjatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina: un Paese ferito, fisicamente e psicologicamente. Il Papa invitato a Kiev.
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“Le sfide pastorali della Chiesa ucraina greco-cattolica nel contesto di guerra”. È il tema della conferenza stampa di Sua Beatitudine Svjatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, tenutasi nella sede della Radio Vaticana. Venerdì scorso Papa Francesco, ricevendo in udienza i vescovi ucraini in visita “ad Limina”, aveva esortato i presuli ad essere solleciti verso i valori propri del loro popolo: “l’incontro, la collaborazione, la capacità di comporre le controversie. In poche parole: la ricerca della pace possibile”. Riportiamo di seguito il servizio di Giada Aquilino per la Radio Vaticana. Tutta la società ucraina è ferita, fisicamente e psicologicamente. Non poteva che essere un quadro di guerra quello tracciato da Sua Beatitudine Shevchuk. I dati ufficiali forniti dall’Onu non rendono abbastanza la realtà del Paese: più di un milione di sfollati e profughi, ma - dice - “la cifra reale è doppia”. In 600 mila cercano rifugio in altri Stati; tra i profughi, 140 mila sono i bambini, un numero riportato anche al Papa nel corso della visita "ad Limina" dei vescovi ucraini della scorsa settimana. Nell’occasione, è stato presentato un invito al Santo Padre “a visitare l’Ucraina”: un “passo profetico”, lo ha definito l’arcivescovo Shevchuk. In Vaticano i presuli hanno sottolineato la necessità di “un appello per un’azione umanitaria internazionale”. Il Pontefice, ha riferito Sua Beatitudine Shevchuk, ha voluto che i vescovi provenienti dalle zone di Donetsk e dalla Crimea riferissero la loro quotidianità, che poi, ha confidato l’arcivescovo maggiore, non è quella “di fare politica” bensì di “essere a fianco del nostro popolo, sentire l’odore delle nostre pecore”, come auspicato più volte dal Santo Padre. Certo, quello della libertà religiosa in Ucraina oggi è un capitolo di stretta attualità: i Tatari di Crimea, musulmani, riferiscono di essere perseguitati, ha proseguito l’arcivescovo Shevchuk; i “fratelli ebrei” sono fuggiti da Donetsk. E in Crimea, 5 parrocchie hanno ricevuto la richiesta di rinnovare la loro registrazione: lo hanno fatto, ha spiegato, ma per tre volte è stata respinta. L’invito allora è al rispetto della verità e all’impegno fattivo, come quello della Chiesa greco-cattolica ucraina o come quello portato avanti in questi giorni dal Consiglio Mondiale delle Chiese. Spiega l'arcivescovo maggiore Shevchuk: "Stiamo lavorando per la pace, per fermare la guerra e sicuramente dobbiamo usare tutti i mezzi per questo. Aspettiamo, che anche a livello diplomatico ed internazionale, si arrivi ad un accordo. Vediamo che questo accordo di Minsk non ha portato ad un successo, perché non c’è stato un cessate-il-fuoco (reale). Speriamo che questo appello del Santo Padre venga sentito da tutti, non solo dalle vittime in Ucraina, ma anche dai potenti nel mondo. Lei ha detto che il Papa sarà il portavoce del dolore degli ucraini: che messaggio vi ha affidato da portare in Ucraina? Il Papa ci ha detto: “Sono con voi!”. E’ importante che anche il popolo ucraino sia assicurato della vicinanza e della premura paterna del Santo Padre. Questo il messaggio che stiamo portando in Ucraina per i nostri fedeli. Lei ha confidato che lo conosce da quando era a Buenos Aires: cosa si aspetta? A Buenos Aires l’ho conosciuto come una persona di poche parole, ma di grandi e profonde azioni. Quindi è sì importante ascoltare le parole, ma non esauriscono certamente tutto quello che il Santo Padre desidera. Nella vostra ‘Lettera ai sacerdoti circa la pastorale in condizioni di guerra’ avete scritto che gli ucraini sono feriti fisicamente, ma anche moralmente. Cosa vuol dire? Vuol dire che in questa situazione di guerra non soltanto il corpo è quello che soffre, ma soffre anche l’anima: tutti quanti siamo feriti pure psicologicamente. L’esperienza delle altre zone di conflitto ci riferisce che questa sindrome post-traumatica uccide e lo fa anche dopo la fine degli scontri militari propriamente detti. Sappiamo che molta gente che ha sofferto di questo fenomeno comincia ad usare alcol, droghe, commette suicidi. Bisogna curare le anime. Bisogna cercare veramente una medicina per salvare non soltanto quelli che sono feriti sul campo di battaglia, ma anche quelli che soffrono questa ferita psicologica come risultato della guerra. L’80 per cento della popolazione ucraina adesso aiuta ed è impegnata in azioni di solidarietà: come avviene, anche attraverso la Caritas? Ci sono tante iniziative. Adesso stiamo cercando di creare un forum delle iniziative civili per coordinare queste azioni, perché molti stanno – ad esempio – comprando vestiti, stanno cercando di comprare medicine, stanno cercando anche di aiutare nella ricostruzione delle case in queste zone. La società ha imparato, ormai da anni, a non aspettare che qualcuno dal di fuori o che anche il governo stesso cominci a lavorare. Io penso che sia un segno della maturità della società civile: noi stessi ci prendiamo la nostra responsabilità per aiutare, per salvare le vittime e anche per difendere il nostro Paese. Lei ha parlato della mediazione del Consiglio Mondiale delle Chiese: cosa auspicate? Auspichiamo che questa mediazione possa veramente aiutare ad aprire un dialogo, un dialogo non fatto attraverso i mezzi di comunicazione, che spesso rappresentano un’immagine un po’ distorta di quanto succede. Gli incontri personali aiutano a far cadere i pregiudizi e certe ‘immagini false’. Questa è la metodologia del Santo Padre Giovanni Paolo II, che diceva che “gli incontri personali fanno cadere i muri”. Questo è quello che noi vogliamo anche per questa mediazione del Consiglio Mondiale delle Chiese. Prima della conferenza stampa l'arcivescovo maggiore di Kiev, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, ha consegnato alla stampa una riflessione scritta, come riporta l'agenzia Sir: “Ci sono condizioni in cui il ricorso alle armi per la difesa dell’aggressore ingiusto è non solo ammissibile, ma è anche l’unico mezzo possibile (per questo è moralmente giustificato), per fermare il male e non permettere la divulgazione dell’aggressione mortale per molte persone”. È il passaggio centrale del lungo Messaggio ai sacerdoti circa “la pastorale in condizioni di guerra”, scritto a nome del Sinodo dei vescovi dall’arcivescovo maggiore di Kiev, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, e consegnato oggi ai giornalisti prima della conferenza stampa a Roma. “La Chiesa, si legge nel testo, condanna le guerre ingiuste, tuttavia non cessa mai di curarsi di quelli che con le armi nelle mani adempiono il servizio a nome dell’autorità legittima e giusta per servire la pace e difendere la vita”. “Quindi - scrive Shevchuk - bisogna ricordare” che “la guerra deve essere svolta per la vita e non per la morte”; che “gli eventi che sopportiamo sono una prova per tutti noi”; e che “non bisogna perdere di vista in nessun caso la prospettiva futura: la prospettiva della pace e della ricostruzione della nostra Patria. Anzi, già adesso, ciascuno al proprio posto, dobbiamo costruire lo Stato che sogniamo, che desideriamo trasmettere in eredità ai nostri figli e nipoti”.
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