mercoledì 21 dicembre 2022
Nei raid l'esercito di Mosca utilizza ancora missili ad alta tecnologia, nonostante l'emabargo nel settore elettronico
I calcoli «sbagliati» dell’Occidente sull’arsenale russo che doveva esaurirsi

Reuters

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Quando finiranno i missili di Putin? Tutti se lo domandano atterriti. I raid ormai diventati quotidiani contro le infrastrutture energetiche ucraine sanno di apocalittico. Non è chiaramente possibile mettere il naso negli arsenali di Putin ma, incrociando i dati, sembra che molte stime del Pentagono e dell’intelligence britannica siano a dir poco presuntuose.

A settembre, gli analisti anglo-americani vaticinavano di un esaurimento prossimo dell’arsenale russo più moderno. Ma, da metà novembre, il generale Surovikin si è permesso di scatenare una vera e propria campagna strategica, tanto tardiva quanto massiccia.

Solo il 16 dicembre, ha ordinato il lancio simultaneo di 60-76 missili. Alcuni (Kh-101) sono recentissimi e imprendibili. Continuano a sparare pure i Kalibr, dati per spacciati già a giugno. La verità è che Mosca ha accumulato prima della guerra almeno 5mila armi di precisione. In dieci mesi ne ha usate non più del 70%. Tante per un’operazione detta «limitata», compensata però da una capacità produttiva immutata.

L’industria militare russa può sfornarne fino a 300 all’anno, a seconda dei modelli. Galvanizzata dalla guerra in corso, ha accelerato la cadenza, incamerando le lezioni del conflitto e privilegiando i vettori semibalistici e ipersonici, più sfuggenti alla contraerea.

Quello che forse molti analisti anglosassoni dimenticano è che le fabbriche belliche russe sono praterie sterminate: impiegano 2,5-3 milioni di persone, il 20 per cento dell’industria nazionale. Sebbene l’embargo occidentale incida su molti settori, il comparto missilistico dipende meno dall’elettronica di punta. Perfino i vettori più evoluti, sono semplici. Hanno elettroniche intercambiabili. Come se non bastasse, i russi hanno arginato la dirompenza delle sanzioni. Preparavano l’invasione dall’epoca dell’Euromaidan (2014) e hanno fatto scorte di semiconduttori, di giroscopi laser e di microchip.

Pochi giorni fa, l’agenzia di stampa Reuters ha messo nero su bianco uno studio che documenta pure intensi traffici clandestini. Molte componenti vietate continuano a fluire dall’Asia e dalla Turchia, con triangolazioni coperte da società schermo. Durante la guerra fredda, era un classico sovietico.

E c’è dell’altro: il Cremlino ha ereditato dall’impero che fu un’enormità di missili, oggi datati e imprecisi, ma sempre utili. Ne ha almeno 7mila e ha mostrato inventiva, convertendo i cruise antinave e i vettori antiaerei al bombardamento terrestre. Modificando i razzi ancori più vecchi, si è offerto una riserva potenziale di 28mila ordigni.

Non ci sono dati di intelligence, ma sembra che perfino i missili più obsoleti siano diventati improvvisamente balistici. Sarebbe già avvenuto per i 5V55 e non è una buona notizia: quei proiettili volano 5,5 volte più veloci del suono e non sono intercettabili.

Colpiscono a più di 100 chilometri di distanza. Se l’informazione fosse vera, si spalancherebbero scenari tragici, perché lo stesso procedimento potrebbe essere applicato ad altri colpi, offrendo ai macellai russi una riserva teorica di decine di migliaia di vettori. Purtroppo, la fine della guerra rischia di non passare per l’esaurimento delle capacità militari russe.

È ora che anche l’Occidente ne prenda atto, spingendo a più non posso verso il negoziato.

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