venerdì 6 marzo 2020
Erdogan e Putin, dopo colloqui fiume, ripropongono l’accordo di Sochi che il reis turco non ha rispettato. Zona cuscinetto e pattugliamenti misti con i siriani
Profughi fermi nella terra di nessuno, tra il confine turco e quello greco, a Edirne

Profughi fermi nella terra di nessuno, tra il confine turco e quello greco, a Edirne - Ansa

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La Turchia e la Russia raggiungono un accordo, l’ennesimo, sul cessate il fuoco a Idlib. Con Ankara che, come prevedibile, torna a casa con un risultato ampiamente inferiore alle aspettative della vigilia, ma che la macchina della propaganda presenterà come una vittoria. La buona notizia, anche per la situazione umanitaria, è il cessate il fuoco a partire della mezzanotte, con il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, convinto che le decisioni di ieri «porteranno un rilassamento della tensione nella zona».

Il faccia a faccia con l’omologo russo, Vladimir Putin, è durato oltre due ore, alle quali vanno aggiunte altre tre ore di confronto fra le delegazioni dei due Paesi, guidate rispettivamente dal ministro degli Esteri della Mezzaluna, Mevlut Cavusoglu e quello russo, Sergeij Lavrov. Il risultato dei colloqui- fiume sono condizioni molto simili a quelle dell’accordo di Sochi del 2018, violate in questi giorni. Anzi, sono praticamente uguali. Una zona- cuscinetto pattugliata dall’esercito turco e quello siriano, sei chilometri a nord e sei chilometri a sud dall’autostrada M-4, che collega Aleppo a Latakia e che rimane saldamente nelle mani di Assad. Le condizioni in cui si opererà in questo corridoio di sicurezza non sono ancora state definite, perché i ministri della Difesa ci lavoreranno nei prossimi sette giorni. Un successo, per quanto sudato, per Vladimir Putin, che durante la conferenza, ha commentato: «Non siamo sempre d’accordo su tutto, ma quando la situazione lo richiede, troviamo un’intesa ». Il leader russo ha anche detto che il documento congiunto firmato con la Mezzaluna «può servire come una buona base per il termine del conflitto della zona di Idlib e la fine della sofferenza per la popolazione civile».

Più scuro in volto il presidente Erdogan, che ha invitato il capo del Cremlino in Turchia e che ha comunque voluto sottolineare che Ankara «si riserva il diritto di rispondere a qualsiasi attacco da parte del regime siriano con le proprie forze». Dal 27 febbraio, quando l’esercito siriano ha ucciso 34 soldati dell’esercito turco, Ankara sembra essere tornata al punto di partenza.

La speranza è che la normalizzazione possa essere avvertita anche dalle persone, soprattutto donne e bambini, costrette a scappare dalle loro case e che l’Onu stima essere ormai un milione. Una immagine drammatica, che fa il palio con quella all’altro capo del confine della Mezzaluna. Sul confine con la Grecia la situazione rimane ad alta tensione anche per la decisione di Ankara di inviare mille soldati scelti per contrastare i respingimenti da parte delle guardie di frontiera elleniche. In mezzo, ci sono migliaia di disperati, per la maggior parte non siriani, che vivono sul territorio della Mezzaluna da anni e che sognano una vita in Unione Europea.

Bruxelles sta seguendo con attenzione l’evolversi della situazione nel nord della Siria, sperando che il cessate il fuoco e il rinnovato piano di normalizzazione della regione di Idlib possa avere un effetto positivo sul flusso di migranti iniziato una settimana fa e che sta mettendo in difficoltà molte cancellerie. L’Alto rappresentante della politica estera europea, Josep Borrell, che due giorni fa era ad Ankara, ha denunciato che i migranti non possono essere «usati come un’arma» e che quella della “buffer zone” è una «buona iniziativa », alla quale però Bruxelles non prenderà parte. Il portavoce della Commissione Europea, Eric Mamer, ha sottolineato come per le autorità greche sia sempre più difficile da gestire e che bisogna tenere aperto il dialogo con Ankara. Gli occhi di tutti, ora, sono puntati su Idlib e sul cessate il fuoco. Sperando che questa volta duri più delle promesse.

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