giovedì 25 gennaio 2024
Con una lettera Washington dice «sì» ai colloqui per il disimpegno del contingente di 2.500 marine. Baghdad: il Daesh non è più una minaccia
Il ministro degli Esteri iracheno Fuad Hussein

Il ministro degli Esteri iracheno Fuad Hussein

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La lettera è stata consegnata mercoledì dall’ambasciatore americano in Iraq, Alina Romanowsky, al ministro degli Esteri di Baghdad Fuad Hussein. Un messaggio definito «importante» dal governo iracheno che tuttavia non ne ha specificato il contenuto. L’intento tuttavia, dopo le anticipazioni dello scorso agosto, è palese: Stati Uniti e Iraq inizieranno a parlare per definire il piano di ritiro delle truppe americane dal Paese mediorientale.

Un argomento che Washington vuole mettere in agenda dopo la crescente tensione attorno al contingente americano in Iraq e Siria, ormai nel mirino delle sempre più influenti milizie filo iraniane del Fronte di Mobilitazione popolare, formazione sciita riconosciuta dal governo iracheno, e altri gruppi minori sostenuti da Teheran: infatti, dall’inizio della guerra a Gaza, in Iraq e Siria sono state più di 150 gli attacchi contro basi militari statunitensi. L’ultimo mercoledì, giorno in cui giungeva la comunicazione ufficiale dell’inizio dei colloqui a Baghdad, un drone colpiva una base americana vicino all’aeroporto di Erbil.

Un disimpegno non facile, ma che dal punto di vista strategico dovrebbe segnare una svolta per l’Iraq: si tratterebbe, infatti, del secondo ritiro militare statunitense dopo che nel 2011 il soldati americani lasciarono Baghdad dove erano arrivati nel 2003, durante la seconda guerra del Golfo e la conseguente caduta di Saddam Hussein. Fu un intermezzo di soli tre anni, perché nel 2014 il Pentagono, d’intesa con il governo di Baghdad, guidò la coalizione internazionale che diede la copertura aerea e il supporto logistico all’avanzata di terra dei peshmerga curdi da Nord, e dell’esercito iracheno da sud per la riconquista di Mosul, la “capitale” irachena de Daesh, e di tutta la Piana di Ninive caduta nel 2014 sotto il controllo del terrorismo islamista.

Una presenza militare già parzialmente ridotta a un contingente di 2.500 marine, la maggior parte dei quali nella capitale Baghdad e nella regione nord del Kurdistan iracheno. Altri 900 militari americani si trovano in nord Siria da cui però, presumibilmente per il perdurare della guerra civile, Washington non ha intenzione di andarsene.

La trattativa non sarà comunque breve. Il premier iracheno Shia al-Sudani al forum di Davos non ha perso l’occasione per far sapere che il Daesh «non è più una minaccia» mentre la partenza degli americani è «fondamentale per la stabilità del Paese». Finora Washington aveva rifiutato una trattativa che ora potrebbe essere sfruttata come un “mission accomplished”– certo meno rocambolesca e rovinosa di quella da Kabul – in campagna elettorale da Joe Biden. Se Baghdad e Washington fanno sapere che le loro relazioni continueranno è evidente come a rinsaldarsi, con le trattative aperte, sarà l’asse tra Baghdad e Teheran.

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