giovedì 31 ottobre 2013
Si aggiungono ai 40 già scoperti lunedì. Erano partiti da Agadez, città che ormai ospita ogni giorno centinaia di giovani di vari Paesi africani che aspettano di partire per l'Europa. 48 delle vittime erano bambini.
REPORTAGE Viaggio ad Agadez, la Lampedusa del deserto | FOTOGALLERY di Matteo Fraschini Koffi
TESTIMONIANZA «La mia marcia infernale di tre giorni senza acqua»
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«Non posso parlarle se lei non ha le dovute autorizzazioni». Abubakar è seduto in fondo a una stanza coperta da un tetto di paglia. Attorno a lui sembra avere due o tre assistenti, ognuno con almeno quattro telefonini in una mano e un pacchetto di sigarette nell’altra. Abubakar non vuole neanche guardarmi negli occhi per la paura di finire nei guai.Preferisce fissare il quaderno dove sta registrando i nomi e le nazionalità delle migliaia di persone che da oltre 15 anni vede passare dal suo “ghetto”. È lui che si occupa di gestire le partenze dei migranti, per questo ci sono anche dettagli sui veicoli che continuano a fare la spola tra Agadez, nel nord del Niger, e la Libia.Le persone come Abubakar rischiano grosso perché sono le prime ad essere contattate dagli agenti di sicurezza nigerini se qualcosa va storto: proteste, violazioni della legge, oppure informazioni su un determinato gruppo di clandestini. Da Paesi come Senegal, Mali, Gambia, Sierra Leone, Ghana, e Nigeria, le rotte dei migranti convergono tutte ad Agadez. Negli ultimi vent’anni, la “perla del deserto” ha visto il formarsi di circa 50 ghetti. Disseminati in vari quartieri della città, ospitano ogni giorno centinaia di giovani, soprattutto maschi, che aspettano la loro partenza. A volte le attese possono durare mesi. «Durante la mia ultima missione, a metà ottobre, ho notato che sono sorti nuovi ghetti», afferma Anna Marconi, volontaria per “Bambini nel Deserto”, un’organizzazione che attraverso il progetto Reseau Exodus monitora i flussi migratori e sviluppa diverse attività a favore dell’imprenditoria femminile e giovanile per offrire un’alternativa alla migrazione. «Questi nuovi ghetti sono situati alla periferia di Agadez – continua Marconi –, tanta gente continua a partire verso la Libia in cerca di lavoro, comprese molte più donne rispetto al passato». Esiste una via più convenzionale per attraversare il Sahara: le 4x4 e i camion lasciano Agadez la mattina presto per raggiungere Dirkou. 20mila franchi Cfa (30 euro) per almeno quattro giorni di viaggio. Un simile lasso di tempo viene impiegato per il tragitto da Dirkou che, dopo aver passato la frontiera nigerina a Madama, arriva ad al-Qatrun. Da lì in poi, il peggio è passato e il prezzo di quest’ultima tappa, a seconda dei mezzi su cui si viaggia, si aggira intorno ai 35mila franchi. Un’altra via parte invece da Agadez e, per 15mila franchi, i bus della Sonef si lanciano verso nord, circa 240 chilometri di strada sterrata, fino alla cittadina di Arlit. Giunti ad Arlit, i migranti scelgono i mezzi a disposizione e percorrono altri 170 chilometri fino alla frontiera con l’Algeria. «Una guida algerina può costare ad ogni migrante clandestino 40mila franchi», afferma Ibrahim, giovane di 28 anni che ha giurato di non rifare mai più quella strada. «Gli autisti evitano le vie più battute passando per le montagne – spiega il ragazzo –. Dopo circa 800 chilometri e cinque giorni di viaggio si arriva alla frontiera con la Libia, più o meno nell’area di Ghat». Altri 450 chilometri portano alla città di Sabha.La strada per l’Algeria è quella più pericolosa. Ti permette di evitare i diversi posti di blocco tra il Niger e la Libia – spiega Amadou, residente di Agadez –, ma sono guai seri se ti perdi o se le autorità locali ti scoprono». A inizio settimana sono stati scoperti 40 cadaveri nel deserto al confine tra Niger e Algeria (soprattutto donne e bambini). Ieri ne sono stati trovati altri 47, che portano a un totale di 87 le vittime di questa tragica traversata. Per chi ce la fa, le cose sono tutt’altro che facili. Una volta in Libia, i migranti vengono spesso imprigionati. «I clandestini passano settimane in celle libiche in mezzo al deserto – spiega sotto anonimato l’operatore umanitario di un’organizzazione internazionale basata nella capitale nigerina, Niamey – i soldati libici li rinchiudono fino a quando le loro famiglie non mandano i soldi per la liberazione». Nel deserto e sulle montagne la legge sembra infatti sospesa. Chi vuole raggiungere l’Europa porta con sé con centinaia di dollari perché sa che il prezzo dei mezzi su cui viaggia non è il problema principale: «Ogni volta che incontriamo i militari siamo costretti a corromperli», spiega Bashir, autista di uno dei pulmini che dalla stazione di Agadez partirà domani per Dirkou. «Se siamo fortunati, bastano 5mila franchi per ogni passeggero – continua Bashir – ma, a volte, quando i soldati scoprono i dollari, possono prenderti anche tutto». I 7 euro minimi richiesti a un solo migrante, in un unico posto di blocco in Niger, alimentano un giro d’affari di vari milioni di euro all’anno. È impossibile dare stime precise, ma secondo alcune organizzazioni nigerine, almeno tre milioni di euro al mese finiscono nelle tasche degli agenti della sicurezza. Rispetto agli agenti della polizia e della gendarmeria, sono i militari dell’esercito a prendersi la fetta più grossa.
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