venerdì 13 gennaio 2017
Khizar Hayat, 55 anni ed ex agente di polizia, era stato condannato nel 2003 per aver ucciso un altro poliziotto suo collega. È stato dichiarato affetto da psicosi e manie depressive
Khizar Hayat, 55 anni ed ex agente di polizia, era stato condannato nel 2003

Khizar Hayat, 55 anni ed ex agente di polizia, era stato condannato nel 2003

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Un segnale, in un mare di esecuzioni capitali che sono riprese a pieno regime in Pakistan. L’Alta Corte di Lahore ha sospeso l’esecuzione capitale per un prigioniero malato di schizofrenia, che sarebbe dovuto salire al patibolo la prossima settimana. Khizar Hayat, 55 anni ed ex agente di polizia, era stato condannato nel 2003 per aver ucciso un altro poliziotto suo collega. Ora il massimo tribunale del Punjab ha chiesto al governo di effettuare nuove analisi sulla salute del prigioniero e di fornirle al massimo entro il 30 gennaio. Iqbal Bano, madre dell’ex agente, ha dichiarato: «Mio figlio ha bisogno di cure mediche, non dell’esecuzione». La donna ha lanciato un appello a Mamnoon Hussain, presidente pachistano, supplicando di perdonare il figlio. Aggiunge di avergli fatto visita in carcere e che il condannato “non presenta stabili condizioni di mente”.

Il gruppo per i diritti umani Justice Project Pakistan (Jpp) riferisce che la Corte ha deciso di fermare l’applicazione della sentenza in attesa che la Corte suprema del Pakistan emetta il verdetto su un altro condannato a morte, Imdad Ali. Anche per quest’ultimo, affetto da schizofrenia, lo scorso anno i giudici del tribunale supremo avevano sospeso l’esecuzione e nominato un gruppo di esperti per valutare la sua salute mentale.

L'agenzia AsiaNews riferisce che secondo gli attivisti, nel maggio 2016 Hayat è stato dichiarato affetto da psicosi e manie depressive. Fin da quanto è stata emessa la sentenza che lo ha condannato alla pena capitale, egli è stato vittima in carcere di diversi attacchi da parte dei compagni galeotti e dal 2012 si trova in regime di isolamento.

Il portavoce del Jpp, Wassam Waheed, sostiene chiaramente che il caso di Hayat dimostra la «completa mancanza di salvaguardia per i prigionieri malati di mente. Fino a quando la Corte suprema non definirà le modalità con cui devono essere trattati di fronte alla legge, continueremo a riempire i nostri bracci della morte di gente come Imdad e Khizar».

Lo Stato del Pakistan è firmatario delle convenzioni internazionali che vietano le esecuzioni capitali per gli affetti da malattie mentali. Nel dicembre 2014 le autorità di Islamabad hanno sospeso la moratoria sulle pene capitali per i reati legati al terrorismo in seguito all’attacco compiuto dai talebani contro una scuola militare di Peshawar, che ha provocato la morte di circa 150 persone in maggioranza bambini. In seguito nel maggio 2015 ha reintrodotto l’esecuzione per tutti i reati gravi previsti dal Codice penale. E tra questi anche la blasfemia per la quale è stata condannata a morte anche la mamma cattolica Asia Bibi che si trova in carcere a Multan da 2.762 giorni.

In base a dati del gruppo Reprieve riportano che dalla cancellazione della moratoria, che il Paese rispettava da sette anni, sono state eseguite 427 condanne. Questi numeri fanno del Pakistan il terzo Paese al mondo per esecuzioni capitali, dopo Iran e Cina di cui non si conoscono dati ufficiali.

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