lunedì 27 gennaio 2025
Gli sfollati si erano ammassati al nord della Striscia ma Israele ne impediva il passaggio per la disputa con Hamas sul rilascio della giovane civile. Ieri la svolta: la tregua regge
Migliaia di persone stanno rientrando nel nord di Gaza

Migliaia di persone stanno rientrando nel nord di Gaza - Fotogramma

COMMENTA E CONDIVIDI

Stanno tornando a casa. O meglio, alle macerie che si portano dentro. Ai lutti, ai traumi, alle assenze di una vita tutta da ricominciare. Gli sfollati della Striscia di Gaza, che a centinaia di migliaia si sono messi in strada verso il nord. E gli ostaggi israeliani di Hamas, dei quali è stato annunciato un ulteriore rilascio per giovedì, oltre a quello già programmato per sabato.

Migliaia di persone stanno rientrando nel nord di Gaza

Migliaia di persone stanno rientrando nel nord di Gaza - Reuters

Era stata la controversia sugli ostaggi a inceppare il meccanismo previsto dall’accordo di Doha per il rientro degli sfollati nel nord della Striscia, sigillato dalla creazione del Corridoio Netzarim da parte dell’esercito israeliano. Gli accordi prevedevano infatti che fossero rilasciate per prime le civili. Il 19 gennaio erano state liberate tre ragazze (Romi Gonen, Doron Steinbrecher e Emily Damari), ma sabato scorso erano uscite quattro soldate (Karina Ariev, Daniella Gilboa, Naama Levy e Liri Albag). Restano due civili: una è Shiri Bibas, rapita con i figli Kfir e Ariel, di 2 e 5 anni, e per i quali c’è grande preoccupazione poiché Hamas li aveva dichiarati tutti e tre uccisi in un raid all’inizio del conflitto. Da sabato, Tel Aviv insisteva sul rilascio della tedesco-israeliana Arbel Yehoud, il cui nome era stato annunciato due volte e rinviato entrambe. Per questo aveva congelato il rientro degli sfollati nel nord. Domenica la svolta: Arbel sarà rilasciata giovedì (la Jihad ha diffuso un suo video) con la soldata Agam Berger e a un altro rapito di cui non è stato fornito il nome. Hamas ha inoltre consegnato, come richiesto, l’elenco dettagliato degli ostaggi da rilasciare nelle prime sei settimane di tregua. Ne restano ancora 25, dei 33 previsti. Di otto torneranno le spoglie. Degli altri 65, il cui rilascio dovrebbe avvenire nella seconda fase della tregua, è incerto il numero dei morti.

La 29enne israeliana Arbel Yehud, in ostaggio dal 7 ottobre, in un video mostrato da Hamas

La 29enne israeliana Arbel Yehud, in ostaggio dal 7 ottobre, in un video mostrato da Hamas - Ansa

A Gaza è stata un’alba di liberazione. Alle 7 locali è stato aperto ai pedoni il primo check-point del Corridoio Netzarim, quello occidentale raggiungibile dalla strada costiera. Da giorni migliaia erano in attesa di passare, poiché il via libera era previsto per domenica. Tre ore dopo, un secondo posto di controllo è stato aperto ai veicoli provenienti dalla strada Salah al-Din, fino a quindici mesi fa importante arteria di collegamento fra nord e sud. In poche ore, sarebbero passati in 300mila. Ai posti di blocco, contractor egiziani controllano che non transitino armi. Li assiste una società di sicurezza privata statunitense, senza personale americano. L’agenzia Reuters riferisce che gli addetti all’ispezione, sulle cui giacche è scritto «comitato egiziano-qatariota», fanno scendere i passeggeri mentre il veicolo viene esaminato con uno scanner contro esplosivi e armi. La procedura dura pochi minuti. Lungo la strada, a garantire l’ordine è la polizia di Hamas. Unità di genieri con cani cercano eventuali ordigni rimasti inesplosi.

I palestinesi tornano a casa, ma in pochi trovano un tetto. Secondo il governo controllato da Hamas, serviranno almeno 135mila fra tende e roulotte per dare un riparo alla popolazione. «Mi batte il cuore, pensavo che non sarei più tornato» ha detto alla Reuters appena arrivato a Gaza City Osama, 50 anni, padre di cinque figli. «Che il cessate il fuoco duri o no, non lasceremo mai più il nord, neanche se Israele mandasse un carro armato per ciascuno di noi. Non saremo mai più sfollati». Per Lamees al-Iwady, 22 anni, «questo è il giorno più felice della mia vita, sento come se la mia anima fosse tornata da me. La case le ricostruiremo, anche se dovessimo farle di fango e sabbia». Per l’intera giornata, la strada costiera è stata un pullulare di gente a piedi carica di borse, di carri e carretti trainati da asini, di auto dissestate straripanti di materassi e bagagli. E bambini, ovunque. In braccio, i piccolissimi. Anche anziani in sedia a rotelle. «Non ho dormito, ho impacchettato tutto e siamo partiti alle prime luci del giorno» ha raccontato Ghada, madre di cinque figli. «Almeno stiamo tornando a casa, ora posso dire che la guerra è finita. E spero che la calma continui».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: