
La disperazione a Gaza non è finita - REUTERS
«Forse anche loro stavano celebrando la tregua», ha commentato amaro mercoledì sera Zakaria Bakr, pescatore e presidente dell’Unione dei lavoratori della pesca e dei marittimi di Gaza, quando è arrivata la notizia di nuovi morti sotto un bombardamento israeliano, i primi dopo l’annuncio dell’intesa sul cessate il fuoco nella Striscia. Con alcuni messaggi online ha raccontato ad Avvenire come lui e i suoi famigliari hanno appreso della tregua che comincerà domenica. «Ci sono stati sorrisi e gioia, ma è una gioia incompleta e senza sapore perché la ferita è profonda, e quello che abbiamo passato – un anno e mezzo di uccisioni, distruzione, terrore e sfollamenti – è difficile da capire usando la ragione».
Le voci che arrivano da Gaza ripetono tutte che non può essere un momento di felicità piena, se la popolazione resta sotto le bombe e se si è condannati a vivere con l’animo pesante per i lutti e la devastazione. «La guerra è finita, ok, ma dov'è casa mia? Riportatemi mia sorella, suo marito e la figlia. Che mio zio, i suoi bambini e la moglie tornino da me. Riportatemi indietro mio cugino. E mia zia, i suoi figli e il marito», commenta il giornalista Mahmoud Al-Louh, che ha perduto tutti i parenti che cita. C’è poi la difficoltà di credere che sia tutto vero, che gli attacchi finiranno, dopo tanti annunci a vuoto. «Quante speranze date dalla cronaca e poi deluse, ogni volta sembrava un successo e invece era un fallimento. Perciò (all’arrivo della notizia) ci siamo trovati in uno stato di inerzia e confusione. È possibile che ci sbagliamo? Davvero, un cessate il fuoco?», rifletteva ieri in una serie di messaggi Whatsapp Fedaa Zeyad, scrittrice e attivista culturale, sfollata a Deir al-Balah. «Non possiamo credere che sia finita. Siamo sopravvissuti, e poi?».
In alcuni commenti, si sollevano critiche dure ai responsabili della devastazione, come nel messaggio che scrive il dottor Mohamed Abu Shawish, psicoterapeuta dell'Al Aqsa Martyrs Hospital di Deir Al-Balah. «Penso a tutti i cari che abbiamo perduto e a quanto abbiano sognato di vedere questo momento. Prego Dio per il successo dell’accordo, perché siamo oltre ogni dolore, sofferenza e perdita, oltre ogni dire. Ritengo l’occupazione israeliana la principale responsabile di tutto ciò che è accaduto, ma considero anche Hamas responsabile per averci trascinato in questa situazione terribile per la sua visione ristretta, il suo scarso giudizio, le sue azioni sconsiderate. E poi con profondo dolore, chiedo: se questo era l’accordo che si era disposti ad accettare, perché non è stato raggiunto otto mesi fa, quando le stesse condizioni erano sul tavolo? Non sarebbe stato meglio accettarlo e risparmiare questo enorme spargimento di sangue e questa distruzione?». Intanto, mancano ancora due giorni alla sospensione delle operazioni militari, e la popolazione sa che il rischio resta alto. «Tutti qui hanno festeggiato, ma quando abbiamo saputo che il cessate il fuoco sarebbe iniziato domenica le voci allegre sono scomparse. Non vedo l’ora che arrivi quel momento. Questi saranno i giorni più pericolosi della guerra», riflette via Whatsapp Reem Hamad, docente di inglese e traduttrice, sfollata in una scuola a Deir Al-Balah. «Sono felice del fatto che torneremo nel Nord, ma so che proveremo il dolore peggiore quando rivedremo le nostre terre, le case, gli amici». Poi, conclude: «Credo però in un forte nuovo inizio a Gaza, proprio come quando si dà alla luce un bambino. Come quando si prova il dolore del parto per dare nuova vita a qualcuno».