venerdì 17 maggio 2019
Nel quarto Paese più povero al mondo si terranno il 21 maggio le elezioni presidenziali, parlamentari e amministrative. La Chiesa locale: «No ai discorsi che incitano all'odio»
Un mercato alla periferia di Lilongwe, capitale del Malawi

Un mercato alla periferia di Lilongwe, capitale del Malawi

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È il quarto Paese più povero al mondo (fonte Fmi) e anche uno dei più piccoli per estensione di tutta l’Africa. Soffre tassi di disoccupazione astronomici, ha una bassa aspettativa di vita (64 anni per l’Oms), alta diffusione di Hiv e Aids e la sua popolazione, prevalentemente rurale, dipende pesantemente dagli aiuti umanitari. Eppure, in mezzo a un mare di problemi, il richiamo della democrazia resta forte, fortissimo anche in Malawi, dove martedì prossimo si torna alle urne per le elezioni presidenziali, parlamentari e amministrative, a un quarto di secolo dal primo voto libero dopo trent’anni di regime di Hastings Kamuzu Banda.

Il presidente uscente Peter Mutharika e il suo partito di governo hanno di fronte avversari veri. In particolare il vicepresidente Saulos Chilima, e il suo United Transformation Movement, e Lazarus Chakwera, esponente del Malawi Congress Party, alleato con l’ex presidente Joyce Banda che ha invece rinunciato alla candidatura personale. Dopo anni di scontro con le istituzioni internazionali, il Malawi è tornato a ricevere il sostegno finanziario del Fondo monetario internazionale e di Banca Mondiale, ma i frequenti casi di corruzione hanno minato la fiducia degli elettori verso il governo e frenato lo sviluppo.

Oltre metà dei 18 milioni di abitanti vive sotto la soglia di povertà (il Pil pro capite annuo è di 1.200 dollari) e l’insicurezza alimentare resta estremamente alta. Quest’anno l’impatto del passaggio del ciclone Idai a metà aprile è stato devastante per le regioni meridionali del Paese (una sessantina i morti) e, con i raccolti a rischio, l’approvvigionamento dei beni di prima necessità resta ancora più problematico.

Il presidente Mutharika – fratello di quel Bingu Mutharika che governò il Paese dal 2004 al 2012, passando dall’essere “campione dei poveri” a sfiorare l’autocrazia – è arrivato al potere nel 2014 promettendo di spazzare via la corruzione, ma il suo partito, sostengono molti commentatori locali, non sembra aver eliminato questo “virus”. Nel 2017 lo scandalo definito “Maizegate” (irregolarità su contratti di importazione di mais per 34 milioni di dollari) portò al siluramento del ministro dell’Agricoltura George Chaponda. Lo scorso anno lo stesso Mutharika è stato collegato all’uso improprio di fondi pubblici, una vicenda che, insieme ad una riforma delle proprietà terriere che ha sottratto alle comunità locali la gestione del territorio, ha portato a una insoddisfazione crescente verso il suo governo.

La campagna elettorale è stata dura, tanto che nei mesi scorsi la Commissione episcopale “Giustizia e Pace” del Paese ha sottolineato che “l'attuale ondata di violenza politica sta determinando una situazione preoccupante che potrebbe rendere caotica la gestione del voto e precipitare il Malawi in gravi disordini civili”. In particolare, la Commissione ha condannato “l’incendio e la distruzione di materiali, il pestaggio e l'intimidazione dei membri dei partiti politici dell'opposizione, la diffusione di discorsi incitanti all'odio e alla discriminazione, le molestie nei confronti di giornalisti e l’impedimento agli oppositori politici di partecipare a funzioni o eventi dello Stato. Tutte azioni che sono contrarie alle aspirazioni dei cittadini del Malawi quando votarono a favore della democrazia multipartitica nel referendum del 1993”.

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